Albert Einstein è generalmente ritenuto il fisico più famoso del XX secolo. La sua popolarità è così capillare che la sua figura è iconicamente associata a quella dello scienziato sui generis per antonomasia. Per quanto la maggioranza delle persone sappia realmente poco su cosa Einstein abbia realmente detto e lasciato in eredità con le sue teorie, non c’è alcun dubbio sul fatto che il fisico tedesco sia ritenuto essere il padre della teoria della relatività. Ma cos’è in realtà questa teoria? Inoltre, la paternità appartiene effettivamente ad Einstein?
Partendo da quest’ultima domanda, la risposta è: no! Storicamente, il padre della teoria della relatività è Galileo Galilei. Einstein, agli inizi del ‘900, riprese “solamente” l’impianto logico della relatività galileiana. Tuttavia, se da un lato egli estese la teoria della relatività alla nuova ricca fenomenologia dell’elettromagnetismo (fiore all’occhiello della fisica ottocentesca), dall’altro elevò l’intuizione di Galilei a principio fondamentale di tutte le meccaniche (note e da formulare). Da questo punto di vista, forse Einstein ha avuto storicamente il grandissimo e vero merito di aver compreso la reale portata ed importanza del lascito (relativistico) galileiano.
In ogni modo, paternità a parte, cerchiamo di rispondere alla prima domanda: cos’è la relatività? Per fare ciò, prima di entrare nel vivo della discussione, dobbiamo necessariamente partire dalle radici galileiane della teoria stessa.
Nel 1632, nell’opera Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo – opera nella quale, tramite i tre protagonisti Sagredo, Simplicio e Salviati, viene messa in discussione la dottrina tolemaico-aristotelica (secondo la quale la Terra era al centro dell’universo) a favore di quella copernicana (per la quale era il Sole al centro dell’universo) – Galilei per la prima volta enuncia il principio di relatività:
“Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; […] . Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder cosí, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma […]”
A di là delle parole di Galilei, il principio di relatività in un’accezione più moderna può essere sintetizzato come segue: se due laboratori si muovono l’uno rispetto all’altro di moto traslatorio rettilineo ed uniforme, non esiste esperimento che dia risultati diversi nell’uno e nell’altro laboratorio.
In generale, la teoria della relatività si pone l’obiettivo di comprendere il legame esistente tra le descrizioni dei fenomeni fisici compiute da differenti osservatori. Il principio in esame, detto a volte anche principio zero, è fondamentale, al punto da essere considerato valido non solo per la dinamica newtoniana, ma per l’intera fisica moderna. Una conseguenza di tale principio è che le leggi fisiche, utilizzate per descrivere uno stesso fenomeno, non devono cambiare “forma(1)*” nel passaggio tra due differenti osservatori inerziali(2)*. Precisamente, il principio di relatività stabilisce la cosiddetta covarianza delle leggi fisiche nei sistemi di riferimento inerziali. Grazie a questo principio, ogni fenomeno osservabile in Natura deve ammettere un’unica descrizione. Tuttavia, bisogna osservare che tale principio non garantisce che la misura di una data grandezza fisica restituisca lo stesso valore in due sistemi di riferimento inerziali; bensì, che la relazione tra le cause del moto (le forze) e l’effetto prodotto (la accelerazione), formulata nel secondo principio della dinamica di Newton, sia la stessa per tutti gli osservatori inerziali.
Come esempio, consideriamo una palla lasciata cadere da ferma a causa dell’azione del campo gravitazionale. Per fare ciò, consideriamo due osservatori: un primo posto su di un vagone di un treno, in moto rettilineo e uniforme rispetto ai binari, e un secondo fermo in stazione. Supponiamo che l’osservatore sul treno lasci cadere la palla, inizialmente ferma, sul pavimento. Tale fenomeno come apparirà ai due osservatori? L’osservatore sul treno osserverà la palla cadere di moto rettilineo uniformemente accelerato verso il pavimento del treno, con accelerazione pari a quella di gravità (vedi figura 1-a); mentre l’osservatore posto nella stazione osserverà la palla descrivere un moto parabolico (moto che presenta la stessa accelerazione sperimentata dall’altro osservatore, vedi figura 1-b). Dunque, è banale notare che i due osservatori non vedono descrivere alla palla la stessa traiettoria; in aggiunta, se gli osservatori misurassero la velocità di impatto sul pavimento del treno, essa non sarebbe nemmeno uguale dai rispettivi punti di vista. Tuttavia, per quanto queste considerazioni siano vere, l’aspetto in comune (covariante) ai due osservatori è che i moti descritti sono in ambo i casi moti accelerati verso il basso con accelerazione pari a quella di gravità. Dunque, i due osservatori sperimentano la stessa relazione tra la causa e l’effetto del fenomeno.
Le cose cambierebbero, invece, se ad un certo istante il treno accelerasse. Per semplicità, immaginiamo che il treno acceleri uniformemente: in questa situazione, l’osservatore sul treno noterebbe un’ulteriore accelerazione orizzontale, opposta a quella del treno, che farebbe muovere la palla di moto rettilineo obliquo rispetto al pavimento e indietro rispetto il punto di partenza (vedi figura 2-a); mentre l’osservatore a terra vedrebbe sempre il solito moto parabolico (vedi figura 2-b). In questa circostanza non abbiamo la covarianza delle leggi, in quanto l’osservatore solidale con il treno sperimenta sulla palla un’ulteriore accelerazione in aggiunta a quella di gravità. Questa “extra” accelerazione, dovuta al particolare moto accelerato del treno, non è vista in nessun modo agire sulla palla dall’osservatore fermo in stazione. Quindi, ricapitolando: l’osservatore sul treno vede due moti accelerati (che combinandosi danno luogo ad un moto rettilineo obliquo accelerato), mentre l’osservatore a terra vede un moto accelerato e un moto uniforme (che combinandosi danno luogo al moto parabolico). Questa discrepanza comporta che le leggi del moto, descritte dal secondo principio di Newton, non sono equivalenti nei due sistemi di riferimento, in quanto gli effetti (accelerazioni) osservati sono dovuti all’azione di cause (forze) diverse. Per questa ragione, i due osservatori non sperimentano la stessa relazione tra la causa e l’effetto; da ciò si origina la non covarianza delle due descrizioni.
Metaforicamente, la covarianza garantisce che se una persona dovesse osservare un gatto, una seconda persona deve osservare necessariamente un altro gatto, che al più potrebbe differire dal primo dal colore, dalla razza o dal pelo. Al contrario, la non covarianza potrebbe condurre all’ipotetica osservazione di quel gatto l’osservazione di un cane; rendendo, dunque, le due osservazioni inesorabilmente inequivalenti.
In conclusione, nell’esempio mostrato sono contenuti tutti gli ingredienti archetipici che costituiscono le idee fondanti della teoria della relatività. Tuttavia, ci potremmo chiedere: quali sono stati i contributi di Einstein alla teoria della relatività? Per saperne di più restate “sincronizzati”…
*(1) Ovvero, i due osservatori devono usare la stessa espressione (formula) matematica per descrivere il fenomeno.
*(2) Il sistema di riferimento inerziale è un sistema in cui un corpo non soggetto a forze (ad esempio la forza di gravità, la forza elastica, la forza di attrito etc.) si muove di moto rettilineo uniforme oppure rimane nel suo stato di quiete.
A cura di Sara Aliberti Rufrano e Antonio Stabile
Complimenti a questi due giovanissimi studenti! Eccellenza italiana
La loro chiarezza fa invidia a tanti professori emerito.
Complimenti a questi due giovanissimi studenti! Eccellenza italiana
La loro chiarezza fa invidia a tanti professori emerito.
bellissimo articolo complimenti!!