Il popolo ebraico ha sempre guardato il cielo.
In questo Giorno della Memoria, oltre a ravvivare il ricordo di quello che è uno dei periodi più tristi nella storia dell’umanità, noi del CANA vogliamo parlare di qualcosa di diverso, di allegro se vogliamo. Oggi vi raccontiamo del cielo secondo la tradizione ebraica. Ad oggi, le testimonianze della cultura ebraica più rilevanti sul tema dell’astronomia ci arrivano dal libro di Giobbe dove egli, riferendosi a Dio, dice “Comanda al sole ed esso non sorge e alle stelle pone il suo sigillo. Egli da solo stende i cieli e cammina sulle onde del mare. Crea l’Orsa e l’Orione, le Pleiadi e i penetrali del cielo australe. Fa cose tanto grandi da non potersi indagare, meraviglie da non potersi contare” a riprova di come l’astronomia abbia rappresentato un punto di interesse anche nel culto ebraico. Citiamo il Sefer Youhasin (“Libro delle discendenze”), un’opera miscellanea che raccoglie manoscritti databili tra i secoli XIV e XV dove l’autore Ahima’az ben Partiel fa capire come anche il popolo ebraico fosse interessato alle osservazioni del cielo: questo manoscritto fa crollare il luogo comune che vede il popolo ebraico come completamente disinteressato allo studio del cielo nei secoli precedenti.
Tornando all’inizio del post sentiamo il dovere di ricordare che tutti gli esseri umani sono uguali su questa Terra e, guardando l’Universo, lo si capisce ancora di più: di fronte all’immensità dello spazio e la lontananza delle stelle tutti gli abitanti della Terra non sono nient’altro che granelli di polvere e non c’è alcuna ragione per cui una parte di noi debba prevalere sulle altre cavalcando l’odio e la sete di dominio. Siamo tutti figli delle stelle.
A cura di Biagio De Simone