dark side of gravity: capitolo iv – Verso la relatività del tempo

 La meccanica newtoniana descrive correttamente la maggior parte dei fenomeni della vita quotidiana. Essa, come abbiamo visto nei precedenti capitoli, si basa sull’ipotesi che il tempo e lo spazio siano grandezze assolute, cioè che queste ultime assumano valori indipendenti dal particolare sistema di riferimento. In questo contesto, proviamo a rispondere alla seguente domanda: se il Sole sparisse, dopo quanto tempo se ne accorgerebbe l’umanità sulla Terra? In meccanica classica, la risposta sarebbe: istantaneamente. Infatti, nella legge di gravitazione universale (1), formulata da Isaac Newton, non c’è alcuna informazione sul tempo che impiegherebbe l’interazione a percorrere la distanza Terra-Sole. Pertanto, se il Sole sparisse (massa del Sole nulla) la forza cesserebbe nel medesimo istante. In generale, in fisica classica, le interazioni tra corpi sono considerate istantanee a prescindere se i corpi sono a contatto oppure posti a distanza finita. Da un punto di vista concettuale, una tale descrizione è compatibile solo se si ammette che la velocità di propagazione delle interazioni è infinita, indipendentemente dalla distanza e dal particolare osservatore. La conseguenza di questa caratteristica è che tutti i punti dello spazio possono interagire istantaneamente, ma è effettivamente così?

A fondamento della fisica (in senso più ampio, scienza), nel ‘600 Galilei instilla l’idea che tutti i fenomeni naturali possono essere “tradotti” in termini di precisi oggetti matematici (2), in cui il modello matematico è l’unica realtà conoscibile, da inventare e reinventare di fronte alle manifestazioni di una fenomenologia che muta continuamente lungo il progredire dell’esperienza e della comprensione. In quest’ottica, l’idea fondamentale di istantaneità(3), presente in meccanica classica, deve essere pensata come una prima approssimazione nelle leggi reali che descrivono i fenomeni naturali. Pertanto, per la costruzione di modelli sempre più adeguati e precisi, è necessario eliminare tale ipotesi. Questo è quello che, in buona sostanza, nel 1905 Einstein ha fatto con la teoria della relatività ristretta; infatti, da essa in poi tutte le interazioni non sono più considerate istantanee: possedendo velocità finita, una qualsivoglia interazione impiega tempi finiti per propagarsi nello spazio circostante.

In ogni caso, quali sono stati i passi che hanno portato alla nascita della teoria della relatività ristretta?

Per rispondere a questa domanda, è necessario partire dalla teoria più importante dell’800: l’elettromagnetismo. Tale teoria è formulata da James Clerk Maxwell nella seconda metà dell’Ottocento. Le equazioni caratteristiche, insieme alla forza di Lorentz, consentono di descrivere correttamente il fenomeno dell’elettricità e il fenomeno del magnetismo; Maxwell comprese che la completa interpretazione dei due distinti fenomeni poteva avvenire solo se essi fossero stati interpretati come un unico fenomeno, chiamato conseguentemente per il suo intrinseco carattere unificante elettromagnetismo. Sebbene i risultati e le previsioni della teoria fossero confermati dagli esperimenti, la teoria presentava dei nodi concettuali che di fatto violavano tutto l’impianto logico della fisica classica basato sul principio di relatività (4). 

Per fare un esempio, consideriamo due osservatori inerziali che descrivono una particella carica immersa in un campo magnetico. Supponiamo che il primo osservatore sia a cavallo della particella, mentre il secondo sia in moto rispetto ad essa. Secondo Hendrik Antoon Lorentz, una particella carica in moto in una regione di spazio nel quale è presente un campo magnetico subisce una forza(5) (detta di Lorentz). Da ciò segue banalmente che, mentre l’osservatore in moto rispetto alla particella vede agire sulla carica una forza netta, l’osservatore a cavallo della particella, vedendola ferma (velocità nulla), non sperimenta nessuna forza di Lorentz. Tale esempio mette in luce come lo stesso fenomeno sia descritto differentemente da due osservatori inerziali, contraddicendo il principio di relatività galileiana, poiché gli osservatori vedono cause (forze) diverse agire sulla carica. 
In ogni caso, poiché i principi alla base della fisica classica avevano consentito la corretta descrizione dei fenomeni naturali per più di due secoli, si pensava che il problema riscontrato con la descrizione della forza di Lorentz fosse legato a qualche  errore interno alla teoria dell’elettromagnetismo.

Accanto a quanto descritto, l’elettromagnetismo presentava un ulteriore nodo concettuale non totalmente comprensibile dai principi della fisica classica: nella teoria, infatti, esce naturalmente la velocità delle onde elettromagnetiche – note anche come luce – (tramite la costante dielettrica nel vuoto e la permeabilità magnetica nel vuoto) senza specificare l’osservatore rispetto al quale viene misurata tale velocità. Inoltre, questa velocità è sempre la stessa a prescindere dall’osservatore inerziale. Tale aspetto è in netto contrasto con le leggi di composizione galileiane delle velocità, per le quali le velocità misurate dipendono dall’osservatore(6). Da questo punto di vista, la velocità della luce dovrebbe combinarsi con la velocità dell’osservatore dando luogo a diverse “manifestazioni” dell’elettromagnetismo(7). In generale, la fisica nell’800 assumeva che tutti i tipi di onde dovessero propagarsi attraverso qualche mezzo materiale; di conseguenza, per giustificare la propagazione delle onde elettromagnetiche si era ipotizzata l’esistenza di una sostanza invisibile chiamata etere luminifero, dotata di particolari proprietà. Sotto questa ipotesi, la velocità della luce, prevista dalle equazioni di Maxwell, avrebbe dovuto essere quella relativa a un sistema di riferimento fermo rispetto all’etere; ogni corpo in movimento nell’universo avrebbe dovuto essere soggetto agli effetti fisici del suo movimento rispetto all’etere, ossia a una sorta di “vento d’etere” con la stessa direzione e verso opposto. Un generico osservatore in moto, misurando la velocità della luce in direzioni diverse, per il principio galileiano di composizione delle velocità avrebbe dovuto quindi rilevare valori diversi, potendo ricavare direttamente la propria velocità rispetto all’etere. Tuttavia, nel 1887, Michelson e Morley dimostrarono che non esisteva nessun vento d’etere e conseguentemente nessun sistema di riferimento privilegiato rispetto al quale le onde elettromagnetiche si propagano: la velocità della luce assume un valore assoluto in tutti i sistemi di riferimento inerziali.

Successivamente, all’inizio del XX secolo esperimenti condotti sulla velocità della luce verificarono che essa si propaga nel vuoto con velocità finita, massima e assoluta: tale velocità, indicata con la lettera(8) c, ha un valore pari a circa 300.000km/s, non può essere superata da nessun corpo ed è la stessa per ogni sistema di riferimento. Da tali evidenze sperimentali, si comprese che il vero problema non era l’elettromagnetismo, bensì risiedeva nei principi posti alla base della fisica classica, in quanto non erano sufficienti a descrivere le corrette leggi della Natura (costanza delle velocità della luce). Dunque, era necessario modificare alcune ipotesi nella costruzione galileiana della teoria della relatività. Per condurre tale impresa, Albert Einstein nel 1905, a fondamento della nuova meccanica, confermò la validità del principio di relatività galileiano esteso all’elettromagnetismo, aggiungendo un nuovo postulato: il principio di costanza della velocità della luce nel vuoto, c=c’. Conseguentemente, in questa nuova descrizione si perde immediatamente l’ipotesi di tempo assoluto in quanto, affinché due osservatori misurino lo stesso valore per la velocità della luce nel vuoto, è necessario che il tempo misurato non sia più lo stesso!

Per comprendere questo aspetto cruciale, consideriamo il moto di un raggio di luce descritto da due osservatori inerziali in moto l’uno rispetto all’altro. Dal principio di relatività segue che le leggi utilizzate per descrivere il fenomeno sono rispettivamente: x = ct e x’= c’t’. Affinché valga il nuovo principio di costanza della luce, cioè c = c’, è evidente che spazio (x e x’) e tempo (t e t’) misurati dai due osservatori debbono arrangiarsi in modo opportuno (9). Se valesse l’ipotesi di tempo assoluto, per la quale t = t’, seguirebbe che la velocità del raggio luminoso misurata dagli osservatori non sarebbe la stessa, in accordo con le leggi di composizione delle velocità galileiane. Conseguentemente, il tempo, da grandezza assoluta uguale per tutti gli osservatori, viene “declassata” a coordinata, alla stregua delle posizioni: il tempo è una grandezza relativa. Dunque, in relatività ristretta, per descrivere un fenomeno fisico, bisogna specificare non solo dove avviene, ma anche quando avviene: questo comporta che alle tre coordinate spaziali necessarie per descrivere il fenomeno deve essere aggiunta anche una quarta coordinata temporale, rendendo la descrizione dell’evento fisico per così dire quadridimensionale (3 dimensioni spaziali + 1 temporale). 

 Storicamente, le leggi di trasformazioni di Galilei, basate sul tempo assoluto, non consentivano di riottenere il principio di costanza della velocità della luce: per tale ragione, furono sostituite dalle più generali trasformazioni di Lorentz (10). Queste ultime sono necessarie ogni qualvolta un fenomeno fisico avviene con velocità prossime a quella della luce nel vuoto. In ogni caso, le trasformazioni di Galilei sono ottenibili da quelle di Lorentz nel limite di basse velocità rispetto a quella della luce. 

Per comprendere cosa cambia con la teoria della relatività ristretta vediamo alcune conseguenze legate alle trasformazioni di Lorentz. In particolare, soffermiamoci sulle leggi di dilatazione dei tempi e di contrazione delle lunghezze(11). 

Per fare ciò, consideriamo un osservatore fermo sulla Terra che vede passare un secondo osservatore solidale con un’astronave in moto rettilineo uniforme rispetto alla Terra, con velocità relativa pari a c/2. Supponiamo che l’osservatore sull’astronave accenda una lampadina e successivamente la spenga dopo 10s (vedi Figura 1-a). La durata degli eventi(12) considerati (accensione e spegnimento lampadina) appare all’osservatore fermo sulla Terra in un tempo di 11,5s (vedi Figura 1-b). Quindi, per quest’ultimo osservatore la durata temporale (accensione e spegnimento della lampadina) è maggiore per 1,5s rispetto a quello in moto. Questo fenomeno è noto come dilatazione temporale. In relatività ristretta, la durata di un fenomeno non è mai assoluta, bensì è relativa. 

Figura 1): L’osservatore fermo sulla Terra (blu) vede un secondo osservatore in un’astronave (rosso) passare a velocità costante c/2. A sinistra, nella figura a), l’osservatore nell’astronave vede la luce accendersi (primo evento) e spegnersi (secondo evento) nello stesso punto; a destra, nella figura b), l’osservatore sulla Terra vede la luce accendersi e spegnersi in due punti distinti dello spazio. La legge di dilatazione temporale comporta che l’osservatore blu vede la luce accesa per un tempo maggiore (Δt=11,5s) rispetto all’osservatore rosso (Δt’=10s).

Invece, se l’osservatore sull’astronave misurasse una lunghezza nella sua astronave, ad esempio, pari a 10m (vedi Figura 2-a), l’osservatore fermo sulla Terra la vedrebbe lunga 8,7m (vedi Figura 2-b): per tale osservatore, tale lunghezza è minore per 1,3m. Questo fenomeno è noto come contrazione delle lunghezze. In ogni caso, anche in relatività ristretta, quando l’oggetto è in moto rispetto all’osservatore, la misura di una lunghezza deve essere condotta con il solito modus operandi descritto in meccanica classica (13). Tuttavia, a differenza di quest’ultima, nell’ambito della meccanica relativistica i moduli delle lunghezze misurate dai due astronauti non saranno mai uguali. Dunque, le misure delle lunghezze non sono assolute, ma relative.

Figura 2): Le lunghezze di un oggetto, per esempio una freccia, appaiono diverse se misurate da osservatori distinti: in figura a), l’osservatore nell’astronave vede la freccia ferma (Δx’=10m); mentre, in figura b), l’osservatore fermo sulla Terra vede la freccia muoversi con velocità c/2. La legge di contrazione delle lunghezze comporta che la freccia in moto appare accorciata all’osservatore blu (Δx=8,7m).

Questi due fenomeni sono il riflesso della presenza nelle trasformazioni di Lorentz di una velocità invariante, finita e massima. Da essa segue, inoltre, che tutte le interazioni in Natura non possono avvenire istantaneamente, ma necessitano di un tempo finito per propagarsi da un punto ad un altro dello spazio. Poiché tale velocità coincide con la velocità della luce nel vuoto, si ha che il suo valore numerico fissa di fatto la scala delle velocità alle quali gli effetti di relatività ristretta (dilatazione temporale e contrazione delle lunghezze) sono importanti. I fenomeni della meccanica classica, avvenendo a velocità molto più basse di quelle della luce, non mostrano nessun carattere relativo nella misura del tempo e dello spazio: infatti, come più volte detto, in meccanica classica il tempo e lo spazio sono considerate grandezze assolute. Mentre, i fenomeni elettromagnetici, propagandosi naturalmente alla velocità della luce, hanno mostrato da subito tutte le criticità logiche dei principi newtoniani sul tempo e sullo spazio. Nel 1905, Einstein, con il mirabile articolo “sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, ha cambiato per sempre la visione della Natura: ha mostrato che spazio e tempo sono grandezze relative e che non esiste nessun osservatore privilegiato nell’Universo.

  Alla luce di quanto detto, la risposta alla domanda posta all’inizio dell’articolo è negativa: i punti dello spazio non possono interagire istantaneamente a causa della presenza in Natura di un valore limite della velocità di propagazione di ogni forma di interazione. Pertanto, se il Sole scomparisse in quest’istante, l’umanità se ne accorgerebbe dopo circa 8 minuti, pari al tempo necessario all’interazione gravitazionale per coprire la distanza Terra-Sole.

   Il fascino della teoria di Einstein, che da oltre 100 anni suscita al grande pubblico, deriva direttamente dall’interesse e dalla seduzione sedimentate per secoli nei concetti di spazio e tempo. Sin dagli inizi, la teoria ha ispirato gli artisti, facendo esprimere tramite i propri canali espressivi la curiosità suscitata dalla nuova teoria.

Anche il pittore Pablo Picasso partecipò allo spirito di quegli anni, mostrando interesse, seduzione e consapevolezza verso la scoperta della relatività del tempo. In particolare, nel quadro “Les demoiselles d’Avignon” (vedi immagine sopra), Picasso giunse con la sua opera alle medesime conclusioni di Einstein: che non esistono sistemi di riferimento privilegiati e che la concezione plurimillenaria dello spazio e del tempo classico andava rifondata. Einstein, attraverso un nuovo modello matematico, e Picasso, attraverso una geniale intuizione artistica, elaborarono in sostanza lo stesso concetto di relatività. Per millenni, gli artisti avevano operato rimanendo fermi e riproducendo, nelle tre dimensioni, una realtà in modo più o meno fedele a quanto i loro occhi vedevano. Perfino la realtà inventata con la fantasia era per molti versi comunque “verosimile”. Ispirato probabilmente dalle nuove teorie fisico-matematiche, Picasso nel dipingere si immaginò in movimento, indagò la realtà da molti punti di vista, quindi in momenti successivi del tempo, e nella sua opera finale ripropose, sintetizzati in una sola immagine, i molti aspetti che di quella realtà aveva potuto indagare: in una efficacissima sintesi spazio-temporale

In conclusione, la relatività ristretta sostituisce i concetti di tempo e spazio assoluto con il principio di costanza della velocità della luce nel vuoto, attraverso il quale Einstein è riuscito ad estendere il principio di relatività galileiana all’elettromagnetismo. A questo punto, sorge spontaneamente la domanda: in quali fenomeni è possibile riscontrare la fenomenologia contenuta nelle trasformazioni di Lorentz? Per saperne di più restate “sincronizzati”…

A cura di Sara Aliberti Rufrano e Antonio Stabile

Si consiglia di leggere il testo con il sottofondo di “The Great Gig in the Sky” – The dark side of the Moon, Pink Floyd

(1)La legge di gravitazione universale descrive la forza che si esercita tra due corpi dotati di massa. Essa è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza.

(2)Così facendo il fenomeno naturale assume un valore oggettivo, cioè non dipendente dal particolare osservatore/sperimentatore.

(3)In generale, l’istantaneità è un’ipotesi non totalmente comprensibile con l’esperienza quotidiana che abbiamo dei fenomeni naturali. Infatti, ogni fenomeno si propaga ad una velocità finita.

(4)Le equazioni dell’elettromagnetismo non erano covarianti, ovvero assumevano forme diverse a seconda del sistema di riferimento inerziale (vedi capitolo 1, “In principio la Relatività”).

(5)La forza di Lorentz è pari alla carica elettrica per il prodotto vettoriale della velocità per il campo magnetico.

(6)Ad esempio, consideriamo una macchina che viaggia a 100 km/h che supera un camion che viaggia a 80 km/h: secondo le leggi di composizione delle velocità galileiane, durante il sorpasso il camion misura la velocità della macchina pari a 20 km/h.

(7)Due osservatori inerziali avrebbero dovuto usare equazioni diverse per descrivere gli stessi fenomeni elettromagnetici.

(8)La velocità della luce viene indicata normalmente con la lettera c (dal latino celeritas), scelta fatta per primo da Paul Drude nel 1894; il suo valore è c=299.792,458 km/s. 

(9)Il rapporti tra le misure di spazio e tempo devono essere costanti: x/t=x’/t’.

(10) Le trasformazioni di coordinate, sia quelle di Galilei che di Lorentz, sono un punto fondamentale e punto di partenza di tutta la descrizione della fisica. In esse sono racchiuse tutte le proprietà dello spazio e del tempo. Accanto all’aspetto concettuale, le trasformazioni rappresentano operativamente le operazioni da effettuare per passare da un sistema di riferimento inerziale ad un altro.

(11)Se un osservatore mobile S’ si muove con velocità V rispetto ad un secondo osservatore fisso S, allora dalle trasformazioni di Lorentz si ricavano la legge di dilatazione dei tempi, per la quale Δt’=γΔt, e la legge di contrazione delle lunghezze, per la quale Δx’=Δx/γ,  dove γ è detto fattore di Lorentz. 

(12) In fisica, un evento è un fenomeno che avviene in un determinato punto dello spazio ed in un determinato istante di tempo.

(13) Il modus operandi per il processo di misura di una lunghezza in moto è stato descritto nel secondo capitolo “La relatività su strada”.




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