DArk side of gravity – capitolo v: Il (non) paradosso dei gemelli

Uno dei più famosi paradossi formulati nella storia della fisica è il cosiddetto paradosso dei gemelli. Questo paradosso, ammesso che lo sia,  si basa sulle misure degli intervalli di tempo condotte da differenti osservatori inerziali. In esso si cerca di mettere in luce apparenti contraddizioni interne presenti nella teoria della  relatività ristretta (1). Un sostenitore del paradosso, dunque dell’infondatezza della teoria di Einstein, è stato Herbert Dingle, fisico e filosofo inglese, il quale dopo la morte di Einstein (avvenuta nel 1955) intraprese una campagna denigratoria per provare la non validità della teoria einsteniana. In ogni caso, il paradosso lo possiamo enunciare come segue: dati due gemelli, Alessandro e Angelo, supponiamo che alla vigilia del loro 18° anno di vita Alessandro parta con un’astronave che viaggia a velocità v per raggiungere la stella ALST-13123 e che, una volta compiuta la missione, faccia ritorno sulla Terra, viaggiando sempre alla stessa velocità. Secondo la legge di dilatazione temporale, Angelo, vedendo Alessandro viaggiare nello spazio, lo troverà più giovane al suo rientro. Al tempo stesso, anche Alessandro vede viaggiare Angelo. Dunque, simmetricamente, anche Alessandro troverà più giovane Angelo al suo ritorno. Si può risolvere questa particolare situazione paradossale?

   Prima di rispondere a tale domanda, cerchiamo di indagare il contesto storico nel quale nasce tale paradosso. Esso è stato proposto direttamente da Einstein prima della pubblicazione della teoria della relatività generale. Nella versione originale, il fisico tedesco non si è mai riferito all’ipotetico viaggio di due gemelli, bensì al moto di due semplici orologi identici che rispondono alle leggi della relatività ristretta. Il paradosso viene sollevato da Einstein per evidenziare come la nascente teoria della relatività necessitasse di una comprensione più profonda per descrivere le sue conseguenze. In particolare, Einstein mette in scena un esperimento mentale (à la Galilei) basato proprio sulla caratteristica fondamentale della sua teoria: costanza della velocità relativa tra sistemi di riferimento inerziali. Perciò, nella formulazione originale, viene esclusa qualsiasi conseguenza indotta da eventuali accelerazioni (2). Ciò comporta che qualsiasi cambiamento di velocità può avvenire solo istantaneamente e puntualmente. 

Solo nel 1911, Paul Langevin propone un’interpretazione biologica del paradosso, introducendo i gemelli al posto degli orologi. Nel corso degli anni, aver reso la natura  del paradosso completamente “biologica” ha causato critiche e ha generato confusione, oscurando di fatto le iniziali intenzioni che avevano mosso Einstein nella formulazione del paradosso. Ovviamente, speculativamente, non c’è nulla di male nel chiedersi quali possano essere gli effetti indotti dalla relatività einsteiniana sugli organismi viventi. Tuttavia, questa impostazione ha fatto nascere un’interpretazione errata della teoria: l’età finale dei due gemelli, giudicata da entrambi concordemente diversa e opposta, è assunta come prova dell’infondatezza dell’intera teoria einsteiniana. La teoria della relatività ristretta, invece, ha lo scopo di mettere in risalto che quello che conta nella realtà è la velocità relativa tra i sistemi di riferimento (i due gemelli del paradosso); il risultato finale di un’eventuale misura non può essere a favore di un particolare sistema di riferimento.  In  altre parole, non esistono sistemi di riferimento inerziali privilegiati.

Per provare a risolvere il paradosso, eliminiamo la componente biologica dovuta alla presenza dei gemelli, e analizziamo l’originale paradosso degli orologi. A tal fine, consideriamo due orologi identici posti in uno stesso punto (vedi figura 1-a); supponiamo che uno resti fermo e che l’altro venga prima allontanato (vedi figura 1-b) e, in seguito, riportato nel punto iniziale (vedi figura 1-c). Il problema risiede nella seguente domanda: riportando il secondo orologio al punto di partenza, cosa dobbiamo aspettarci confrontando la lettura degli orologi?

Figura 1): Nel disegno viene riportata, a scopo meramente illustrativo, come cambia l’ora segnata da due orologi identici. In particolare, supponiamo che l’orologio A rimane fermo mentre l’orologio B viene prima allontanato e poi riavvicinato: all’istante iniziale (figura 1-a) i due orologi segnano la stessa ora, ovvero le 03:00; quando l’orologio B raggiunge la massima distanza da A, l’orologio B segna le 03:15, mentre per l’orologio A sono le 03:30 (figura 1-b); infine, quando l’orologio B torna nel punto di partenza, vi è una differenza di 30 minuti tra gli orari riportati dai due orologi (figura 1-c).

Supponendo pur di spostare l’orologio a velocità costante (confrontabile con quella della luce) lungo un tratto rettilineo, nel momento in cui lo si riporta indietro questo deve necessariamente e realisticamente subire un’accelerazione diversa da zero, altrimenti proseguirebbe il suo moto verso l’infinito. Per tale ragione, l’orologio in moto non può essere considerato rigorosamente, per l’intero percorso, in moto rettilineo uniforme. In ogni caso, per questa analisi, trascuriamo gli effetti di accelerazione per l’inversione del moto: in relatività ristretta il moto dell’orologio B può essere ottenuto complessivamente dall’unione di due moti rettilinei uniformi, il primo in allontanamento e il secondo in avvicinamento. Per questa ragione, i due orologi non sono equivalenti: l’orologio A (fermo) è posto in un sistema di riferimento inerziale (3), mentre il secondo, orologio B, per tornare indietro ha bisogno di due sistemi di riferimento inerziali (alla luce della relatività generale, tale orologio si trova a tutti gli effetti in un sistema di riferimento non inerziale). Per tale ragione, il paradosso non sussiste: confrontando gli orologi nello stesso punto di partenza, l’orologio B sarà in ritardo rispetto all’orologio A; il contrario non può accadere. In ogni caso, per descrivere correttamente cosa accade quando si confrontano le misure dei due orologi nella situazione considerata, è necessario ricorrere alla Relatività Generale, teoria nella quale il principio di relatività viene esteso anche ai sistemi di riferimento non inerziali: secondo tale teoria, l’orologio che viene riportato nella posizione iniziale risulterà in ritardo rispetto all’orologio fermo. Tale risultato è in accordo con i dati sperimentali.

Da quanto detto, ci potrebbe venire il sospetto che il paradosso potrebbe sussistere quando gli orologi sono semplicemente in allontanamento. In questo caso, ogni orologio si trova in un unico sistema di riferimento (non c’è nessuna accelerazione che interviene per rendere i due sistemi inequivalenti). Quindi, usando l’argomentazione precedente, sembrerebbe possibile applicare simmetricamente la legge di dilatazione dei tempi in ciascun sistema di riferimento inerziale generando di fatto la paradossale conclusione che, cambiando semplicemente sistema di riferimento, ogni orologio e sia in anticipo che in ritardo. In particolare, ogni orologio vede in ritardo quello in moto. Tuttavia, la situazione presentata non ha motivo di sussistere, in quanto, prima di effettuare una misura da confrontare con altri osservatori, bisogna decidere come sincronizzare (4) le misure da condurre rispetto al fenomeno osservato: ogni osservatore nel proprio sistema di riferimento descriverà dove e quando avverranno gli eventi iniziali e finali; fatto ciò, possono decidere di paragonare le rispettive misure. 

  Come esempio, consideriamo solamente la fase di allontanamento dei due gemelli Alessandro e Angelo. In particolare, supponiamo che Alessandro stia su un’astronave che deve sorvolare la stella ALST-13123, distante  ∆l = 9 anni luce dalla Terra; l’astronave possiede dei motori tali da poter raggiungere il 60% della velocità della luce. Angelo, che si trova nella stazione di controllo sulla Terra, vede il gemello impiegare ∆t = 15 anni per compiere la missione, mentre dal punto di vista di Alessandro sono passati solo (5) ∆t’ = 12 anni. Quindi, il tempo misurato dalla stazione di controllo subisce una dilatazione rispetto a quello dell’astronauta. Dal momento che la teoria della relatività tratta in modo simmetrico i risultati delle misure di due osservatori inerziali, la domanda che sorge spontanea è: perché non succede anche il contrario, ovvero che è Alessandro a subire una dilatazione dei tempi?

Figura 2): Nel disegno viene rappresentato: Alessandro (osservatore rosso), in viaggio verso la stella ALST13123 con un’astronave in moto a v = 0,6c (60% della velocità della luce); Angelo (osservatore blu), fermo rispetto alla stella nella stazione di controllo sulla Terra.

Per rispondere a tale domanda, bisogna definire il concetto di tempo proprio e lunghezza propria: in particolare, il tempo proprio è l’intervallo temporale associato a due eventi che avvengono nello stesso punto dello spazio, mentre la lunghezza propria è la distanza tra due eventi fermi rispetto all’osservatore. 

Quando si applica la legge di dilatazione dei tempi, si pone in relazione il tempo proprio dell’osservatore in moto con l’intervallo di tempo dell’osservatore fermo. Nello specifico, ad essere dilatato è il tempo dell’osservatore fermo e non viceversa.  Nell’esempio mostrato, l’evento iniziale consiste con la partenza dell’astronave dalla Terra, mentre l’evento finale nell’arrivo della stessa sulla stella. Le posizioni degli eventi iniziale e finale per Alessandro coincidono nello stesso punto. Quindi,  ∆t’ = 9,6 anni è concettualmente un tempo proprio. Mentre per Angelo, gli eventi iniziale e finale non avvengono nello stesso punto, pertanto ∆t = 15 anni risulta essere il tempo dilatato.

A questo livello, la teoria della relatività non sembra essere simmetrica, in quanto viene dato un “ruolo privilegiato” al tempo proprio rispetto ad un intervallo temporale misurato per gli stessi eventi da un qualsiasi osservatore inerziale. Tuttavia, la simmetria della teoria risiede nel fatto che tale legge possa essere sempre applicata a parti invertite, a patto di considerare i rispettivi tempi propri.

Una situazione analoga si presenta con la legge di contrazione delle lunghezze: ad essere contratta è la distanza della stella misurata dall’osservatore in moto e non viceversa. Ritornando all’esempio precedente, gli eventi iniziale e finale sono fermi rispetto alla stazione di controllo, pertanto ∆l = 9 anni luce è concettualmente una distanza propria; per Alessandro, gli eventi iniziale e finale sono in moto rispetto a lui. Quindi, ∆l’ = 7,2 anni luce risulta essere la lunghezza contratta.

Pertanto, fin quando i due osservatori inerziali non decidono come sincronizzare le misure da condurre, la teoria della relatività prevede che i due sistemi di riferimento siano totalmente equivalenti e interscambiabili: ogni osservatore vedrà i tempi propri e le lunghezza proprie dell’altro osservatore rispettivamente dilatati e contratte. Tuttavia, se per sincronizzarsi viene fissato uno specifico tempo proprio oppure una distanza propria, i due sistemi di riferimento inerziali cessano di essere equivalenti: l’osservatore fisso vedrà in ritardo il tempo proprio dell’osservatore in moto e non viceversa (analogamente per le lunghezze). 

Dalla spiegazione fornita, si evince che il paradosso, in quanto tale, non ha motivo di sussistere: per i gemelli, il problema viene risolto definitivamente dalla teoria della Relatività Generale, mentre nel caso di due osservatori in allontanamento è sufficiente ricorrere al sincronismo e al concetto di tempo proprio (lunghezza propria). 

Le situazioni paradossali non sono presenti solo in Fisica: anche l’arte cerca di riprodurre scene o immagini non solo prive di apparente logica, ma che addirittura si contraddicono da sole. Un esempio di “rappresentazione paradossale” nell’arte è dato dal quadro di René Magritte “La Trahison des images” (vedi figura sopra), nel quale l’artista disegna una pipa e la frase “Ceci n’est pas une pipe.”, ovvero “Questa non è una pipa”. A vedersi, il quadro sembrerebbe racchiudere in sé una contraddizione interna, in quanto la frase riportata nega ciò che si vede nel quadro stesso, ovvero una pipa. Tuttavia, è la presenza della frase stessa ad eliminare la contraddizione che potrebbe nascere osservando il quadro, altrimenti lo spettatore potrebbe confondere una pipa con la rappresentazione nel quadro della pipa stessa! 

  In conclusione, il paradosso consente di effettuare un esperimento mentale che avvalora la teoria, anziché mettere in luce eventuali contraddizioni. Dal momento che il tempo è relativo, cosa accade all’ordine cronologico tra due eventi? Essendo la velocità di propagazione finita, come possono essere collegati due punti distinti dello spazio da un principio di causa ed effetto? Per saperne di più restate “sincronizzati”…

A cura di Sara Aliberti Rufrano e Antonio Stabile

Si consiglia di leggere il testo con il sottofondo di “Money” – The dark side of the Moon, Pink Floyd

(1) Per l’introduzione alla Relatività Ristretta, vedi capitolo IV di Darsigrav, “Verso la relatività del tempo”.
(2) Nel 1915, Einstein formulò la teoria della relatività generale, nella quale è possibile tener conto anche delle conseguenze delle accelerazioni.
(3) Vedi capitolo I di Darsigrav, “In principio la relatività”.
(4) Vedi capitolo III di Darsigrav, “Tempo, giorni e sincronizzazione”.
(5) Per la legge di dilatazione dei tempi, vedi capitolo IV di Darsigrav, “Verso la relatività del tempo”.

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