Einstein, con la sua teoria della relatività, ha cambiato per sempre la concezione che abbiamo del tempo. In essa il tempo non è più una grandezza assoluta, bensì relativa: ne segue che due osservatori inerziali possano misurare differenti intervalli temporali associati allo stesso fenomeno. Per quanto la teoria possa sembrare la teoria “del tutto relativo” – ponendo in relazione le descrizioni dei fenomeni osservati da differenti osservatori inerziali – in essa c’è lo sforzo di cercare e determinare le quantità che non variano nel passaggio da un osservatore ad un altro. In altri termini, determinare quantità che sono assolute.
Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, in meccanica classica il principio di causa ed effetto ha solo una valenza cronologica, ovvero la causa precede sempre l’effetto. Tuttavia, alla luce dei nuovi principi come cambia tale principio? L’ordine cronologico tra due eventi è una quantità preservata (assoluta) come in meccanica classica?
Per dare una risposta alle domande, ricordiamo che non è possibile avere interazioni con velocità maggiore di quella della luce c: per tale ragione, si ha che per un fissato intervallo temporale Δt, la distanza cΔt rappresenta la distanza massima che un’interazione può percorrere in tale intervallo. In meccanica classica questa distanza coincide concettualmente con l’intero spazio, poiché le velocità, non avendo limitazioni superiori, possono assumere valori infiniti.
Per capire meglio quello che succede in relatività ristretta, poniamoci in un sistema di riferimento inerziale e supponiamo che da un punto A venga inviato un segnale alla velocità della luce nello spazio circostante. Come è mostrato in figura 1, lo spazio è suddivisibile in tre regioni distinte: regione interna, punti B; regione esterna, punti E; frontiera, punti D. La regione interna è costituita da tutti i punti che nell’intervallo di tempo considerato potrebbero essere raggiunti da un’interazione, poiché la distanza dal punto A è minore della distanza massima cΔt. La regione esterna è costituita da tutti i punti che nell’intervallo di tempo considerato non possono essere raggiunti da nessuna interazione, poiché la distanza dal punto A è maggiore di quella massima. In ultimo, i punti della frontiera sono i punti dello spazio raggiunti nell’intervallo di tempo Δt da un’interazione viaggiante alla velocità massima c.
Per questa ragione, fissato Δt, la distanza cΔt delimita la regione di spazio che potenzialmente è connettibile con il punto A da un principio di causa effetto (regione interna), dal momento che due eventi sono connessi da tale principio solo se interagiscono tra di loro. D’altro canto, la regione esterna non è mai connettibile con A da nessun principio di causa effetto nell’intervallo di tempo considerato.

Figura 1) Regioni dello spazio individuati dalla distanza massima c∆t raggiunta in un intervallo ∆t da un’interazione viaggiante alla velocità massima c: i punti interni alla circonferenza, costituiti da tutti punti B, sono caratterizzati dalla condizione ∆xAB<c∆t; i punti esterni alla circonferenza, costituiti da tutti punti E, sono caratterizzati dalla condizione ∆xAE>c∆t; I punti della frontiera, costituiti da tutti i punti D, sono caratterizzati dalla condizione ∆xAD = c∆t.
Per tenere conto delle differenti regioni (interna, esterna e frontiera) in relatività ristretta viene definita la seguente quantità: s2=c2t2-x2. Essa può essere pensata come una sorta di distanza, nella quale vengono paragonate la distanza massima cΔt e la distanza spaziale Δx tra due punti dello spazio reale. Questa particolare distanza viene chiamata in gergo intervallo causale tra due eventi. Tale intervallo non è una quantità necessariamente positiva. Infatti, può assumere valori positivi nella regione interna, negativi in quella esterna oppure nulli sulla frontiera. In generale, fissato un fenomeno fisico, la quantità in questione possiede la proprietà di assumere lo stesso valore per tutti gli osservatori inerziali: s2 è dunque assoluto. Questo comporta che per quanto l’intervallo temporale Δt e quello spaziale Δx non siano degli invarianti (cioè cambiano valore nel passaggio da un sistema di riferimento iniziale ad un altro) la particolare combinazione presente nell’intervallo causale risulta essere sorprendentemente un invariante. L’importanza di tale quantità è tale da occupare un ruolo centrale non solo nella costruzione dell’intera relatività ristretta, ma anche della relatività generale. A tutti gli effetti può essere pensata come la quantità che sostituisce (o meglio generalizza) il concetto di tempo assoluto della meccanica newtoniana. In ogni caso, i risultati della meccanica classica possono essere ottenuti nel limite di velocità infinite. Infatti, in tale limite è opportuno notare che l’intervallo causale Δs tende a quello di tempo assoluto Δt: Δs→cΔt. Il segno dell’intervallo s2 può essere utilizzato per classificare le differenti nature degli intervalli tra due eventi fisici.
Consideriamo due eventi A e B avvenire rispettivamente in xA e xB negli istanti tA e tB: se sAB2> 0, l’intervallo è detto di genere tempo. Tale intervallo descrive sempre eventi connettibili da un principio di causa effetto, in quanto la velocità di propagazione misurata dall’osservatore è sempre minore della velocità massima. Se l’intervallo tra due eventi è di genere tempo, esiste allora un particolare sistema di riferimento – quello solidale con il corpo in movimento – nel quale i due eventi sono avvenuti in uno stesso punto: Δx=0. Il tempo trascorso tra questi due eventi in questo sistema è Δτ = Δs/c, dove Δτ è il tempo proprio. Quindi, il tempo proprio, essendo proporzionale a Δs, è anch’esso un invariante. Quando due eventi sono relativi allo stesso corpo, il loro intervallo è sempre di genere tempo.
Se sAB2< 0, l’intervallo è detto di genere spazio. Tale intervallo descrive eventi non connettibili da un principio di causa effetto, in quanto la velocità di propagazione sarebbe maggiore di quella massima. In altri termini, non esiste nessuna particella elementare (poiché la velocità di propagazione è sempre minore di c) che può connettere i due eventi. Tuttavia, per quanto un’interpretazione particellare dell’interazione sia fallimentare, l’invarianza di s2 garantisce sempre un legame tra gli intervalli temporali e spaziali misurati tra due sistemi di riferimento inerziali. Se l’intervallo è di genere spazio, esiste allora un particolare sistema di riferimento nel quale i due eventi sono avvenuti simultaneamente, Δt=0, in due punti distinti dello spazio. Se sAB2=0, l’intervallo è detto di genere luce: tale intervallo descrive eventi che si propagano alla velocità massima c.
La classificazione in intervalli del genere tempo, spazio e luce è, in virtù della loro invarianza, un concetto assoluto. Ciò significa che la proprietà di un intervallo di essere di un dato genere non dipende dal sistema di riferimento, ma sarà lo stesso per tutti i sistemi di riferimento inerziali.
Come detto in precedenza, in relatività ristretta il legame esistente di causa e effetto tra due eventi non dipende solo dall’ordine cronologico tra di essi (come in meccanica classica), bensì anche dalla loro distanza relativa. In generale, come abbiamo visto, non tutti i punti dello spazio possono essere legati da un tale principio. Data questa ricchezza della teoria di Einstein, cosa succede all’ordine cronologico tra due eventi legati da un principio di causa ed effetto?
Nella fisica newtoniana, l’ordine cronologico è una quantità assoluta, in quanto riflette l’ipotesi di tempo assoluto. Dunque, tutti gli osservatori inerziali vedranno avvenire due eventi con lo stesso ordine cronologico. D’altro canto, nella relatività einsteiniana, venendo meno tale ipotesi, si hanno più possibilità. In particolare, si ha che se gli eventi osservati sono collegabili da intervalli di genere tempo (ovvero, eventi collegabili da un principio di causa effetto), l’inversione temporale non è mai possibile. Pertanto, in questo caso, l’ordine cronologico è un invariante per tutti gli osservatori inerziali, come in meccanica classica. Mentre, se gli eventi osservati sono collegabili da intervalli di genere spazio (eventi non collegabili da un principio di causa effetto), è sempre possibile trovare dei sistemi inerziali nei quali gli eventi presentano lo stesso ordine cronologico, e sistemi inerziali nei quali l’ordine cronologico è invertito. In ultimo, nel sistema solidale con gli eventi, si ha la loro simultaneità in punti distinti dello spazio.
Quindi, relativamente ad eventi con una causalità di tipo spazio, l’ordine cronologico non è un invariante, ma dipende dal sistema di riferimento. Ne segue che il prima e il dopo sono concetti relativi: due eventi possono essere visti cronologicamente invertiti a secondo del sistema di riferimento scelto. Questa particolare situazione descritta non comporta nessuna incompatibilità logica della teoria, in quanto i due eventi, essendo di tipo spazio, non sono collegabili da nessun principio di causa ed effetto. Tuttavia, ciò non significa che non si possono osservare nel quotidiano due eventi caratterizzati da un intervallo causale di genere spazio. Come esempio di eventi scorrelati da un principio di causa-effetto, supponiamo di osservare un aereo di linea di notte che vola nel cielo, segnalando il suo passaggio tramite l’accensione di una luce rossa e una luce verde poste alle due estremità delle ali: mentre l’osservatore solidale con l’aereo osserverà le due luci accendersi simultaneamente, l’osservatore a terra vedrà, per esempio, accendersi prima la luce rossa e poi la luce verde, con uno scarto temporale dell’ordine di 10-6 secondi circa. Accanto a questi, esisterà sicuramente un terzo osservatore, in moto rettilineo uniforme rispetto agli altri due, che vedrà accendersi prima la luce verde e poi la luce rossa.
Questo esempio, nel quale gli eventi considerati non sono legati da causa ed effetto, mostra che l’ordine cronologico degli eventi non è assoluto, bensì è relativo allo stato di moto dell’osservatore.
Alla luce dell’apparente paradosso dell’ordine cronologico legato agli eventi di tipo spazio, la fisica, anche tramite essi, preserva la realtà oggettiva e assoluta dei principi alla base della teoria stessa. La situazione è ben diversa nell’arte: in questo caso, infatti, l’artista lascia all’osservatore “l’ultima parola”, dandogli la possibilità di completare l’opera attraverso la sua interpretazione. In questo modo, l’unico aspetto oggettivo risiede nella realizzazione dell’opera, mentre l’interpretazione non ammette alcun aspetto assoluto. Questo è ben evidente nel quadro di Maurits Cornelis Escher “Mani che si disegnano” (vedi figura sopra), nel quale viene rappresentata una tavola da disegno su cui poggia un foglio raffigurante due mani, ognuna impegnata a disegnare l’altra. L’effetto visivo restituisce un enigma irrisolvibile, in quanto non si riesce a distinguere quale delle due mani disegni l’altra e, pur tentando di identificarsi con il disegnatore, diventa impossibile trovare una risposta-soluzione. Il paradosso grafico rimanda ad un grande interrogativo relativo al sottile confine, presente in arte, tra oggettività e soggettività: dove finisce la prima ed inizia la seconda? L’opera simboleggia esattamente questo rompicapo, rimandando al concetto di “relatività”: tuttavia, a differenza della fisica, non vi sono realtà oggettive e assolute nell’interpretazione del quadro, ma solo nelle figure rappresentate.
In conclusione, la teoria della relatività ristretta descrive in modo coerente i processi meccanici e l’elettromagnetismo. Tuttavia, sorge spontanea la seguente domanda: dove è presente l’interazione gravitazionale nella teoria di Einstein? Per questo ed altro ancora, restate “sincronizzati”…
A cura di Sara Aliberti Rufrano e Antonio Stabile
Si consiglia di leggere il testo con il sottofondo di “Us and Them” – The dark side of the Moon, Pink Floyd
(1) L’intervallo causale risulta essere invariante sotto trasformazioni di Lorentz.