“Siamo fatti della stessa materia delle stelle” scriveva l’astronomo e divulgatore Carl Sagan.
Tutti gli elementi pesanti che sono nel nostro corpo sono stati prodotti all’interno di una stella o nel suo processo di fine vita. Sono esistite però, all’inizio dell’universo, stelle formate solo da idrogeno ed elio.
Grazie all’impiego del Very Large Telescope dell’European Southern Observatory (ESO) sono state individuate tracce di queste misteriose stelle mai osservate.
Le tracce sono state viste nelle impronte lasciate dalle esplosioni delle stelle primordiali all’interno di una nube di gas vecchia 11 miliardi di anni.
A pubblicare il lavoro, sulla prestigiosa rivista The Astrophysical journal, è stato un gruppo internazionale di ricercatori di cui fanno parte anche ricercatori dell’Università di Firenze e dell’Inaf.
«Per la prima volta in assoluto, siamo stati in grado di identificare in nubi di gas diffuso molto distanti le tracce chimiche delle esplosioni delle prime stelle, quelle che si sono formate dopo il Big Bang», afferma Andrea Saccardi, autore principale del lavoro e dottorando presso l’Osservatorio di Parigi. «Le prime stelle erano molto diverse da quelle attuali: nate da nubi di gas contenenti solo gli elementi chimici più semplici (idrogeno ed elio), erano più massicce del nostro Sole e dunque morirono rapidamente in esplosioni conosciute come supernove. Queste esplosioni arricchirono per la prima volta il gas circostante con gli elementi chimici più pesanti formati proprio nel cuore delle prime stelle. Da quel gas arricchito sono nate le stelle di seconda generazione, alcune delle quali, come fossili celesti, ancora abitano la nostra galassia e quelle vicine» spiega Stefania Salvadori.
Osservare una delle prime stelle è un’impresa assai ardua perché bisogna osservare lontano nello spazio e nel tempo, tuttavia possiamo cercare i loro residui, come è stato fatto in questo studio.
Le stelle primordiali hanno rilasciato nell’ambiente elementi chimici come carbonio, ossigeno e magnesio.
Per effettuare queste osservazioni è stata usata una fortissima sorgente luminosa posizionata dietro le nubi, i quasar; oggetti straordinariamente brillanti che si trovano al centro delle galassie e sono generati dalla materia che cade nei buchi neri supermassicci.
La luce dei quasar viaggiando nel cosmo incontra le polveri della nube e alcune parti di essa vengono assorbite dagli elementi che formano il gas. Dalle nostre conoscenze spettroscopiche e di chimica, analizzando semplicemente la radiazione elettromagnetiche che raggiunge i nostri strumenti possiamo capire quali elementi sono stati incontrati durante il cammino.
Per individuare questi elementi è stato impiegato lo strumento X-shooter del VLT, uno spettroscopio.
Gli spettroscopi sono strumenti in grado di dividere la luce per lunghezza d’onda e ciò ci permette di identificare quali di esse siano state assorbite o meno.
«Grazie agli spettrografi di nuova generazione di cui sarà dotato l’Extremely Large Telescope (Elt) dell’Eso saremo in grado di studiare in modo ancora più dettagliato molte di queste rare nubi di gas », conclude D’Odorico, astrofisica dell’Istituto nazionale di astrofisica.
L’ Extremy Large Telescope sarà il più grande telescopio ottico mai costruito; il sito che è stato scelto per la sua costruzione si trova nel deserto dell’Atacama in Cile.
Il progetto consiste in un telescopio riflettore con uno specchio primario segmentato che avrà un diametro di ben 39,3 metri e uno specchio secondario di 4,2 metri.
Uno specchio di 40 metri permetterà di fare spettroscopia in modo ancora più dettagliato permettendoci di scoprire altri misteri dell’universo.
Autore: Vito Saggese
Fonti:
https://www.media.inaf.it/2023/05/03/in-remote-nubi-di-gas-le-tracce-delle-prime-stelle/
Credit: ESO