ASTRONOMIA MULTIMESSAGGERA: I CANTASTORIE DEL COSMO – ATTO I – LE ONDE RADIO

“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”. Così scriveva Shakespeare nel primo atto, scena 5, del suo Amleto. 

Da sempre noi esseri umani osserviamo il cielo affascinati dalla sua bellezza. Anche la persona più insensibile non potrebbe fare a meno di emozionarsi alla vista di un cielo stellato di montagna, durante una fresca notte d’estate. Il cielo, oltre ad essere esteticamente straordinario, tanto da ispirare da sempre grandi poeti, scrittori e artisti di ogni epoca per le loro opere, intriga anche e soprattutto perché è misterioso, carico di segreti da svelare e storie da raccontare.

A tutti piacciono le belle storie e quelle che può narrare l’universo non sono da meno, ma per poterle ascoltare e capirle abbiamo bisogno delle “orecchie” giuste. Osservare il cielo solo con gli occhi non basta, è come sperare di conoscere a fondo una persona solo guardandola, senza scambiarci nemmeno una parola. Con il tempo uomini particolarmente curiosi e determinati hanno iniziato a sviluppare il sapere e la tecnologia, le “orecchie” giuste, per riuscire ad ascoltare l’universo. Nel 1609, Galileo Galilei puntò per la prima volta il suo cannocchiale verso il cielo: è la nascita dell’astronomia moderna. Il 17 agosto 2017, 408 anni dopo, i due interferometri gemelli, Ligo negli USA e Virgo a Cascina (Pisa), hanno rivelato per la prima volta il passaggio di onde gravitazionali. Nasce l’astronomia multimessaggera che rappresenta, ad oggi, il modo più completo che abbiamo per ascoltare il cielo. In questa serie di articoli verrà descritta cos’è l’astronomia multimessaggera, verranno raccontate alcune delle storie che l’universo ci può offrire e, soprattutto, chi sono i cantastorie capaci di narrarle.

I primi che impareremo a conoscere sono le onde elettromagnetiche. In questo articolo verranno trattate le onde radio, in particolare le radiosorgenti cosmiche e i mezzi tecnologici, le “orecchie”, con cui possono essere “ascoltate” e studiate. Ma prima di entrare nel merito, è necessario introdurre alcuni importanti concetti fisici. Innanzitutto, cos’è un’onda? 

Un’onda è una perturbazione che nasce da una sorgente e si propaga nello spazio circostante con modalità che dipendono dal tipo di perturbazione e dalle caratteristiche del mezzo che riempie lo spazio. Ad esempio, se lanciamo un sasso in uno stagno, oltre a spaventare a morte qualche pesciolino che passava di lì, produrremo una “perturbazione ondosa” che si manifesta con l’apparire di anelli concentrici, i quali si allontaneranno regolarmente dal punto in cui abbiamo lanciato il sasso. Quindi, nel caso in esame, la sorgente dell’onda è il sasso e il mezzo in cui si propaga è l’acqua. Inoltre, se spargiamo della segatura sulla superficie dell’acqua, ci accorgeremo che le particelle di segatura, man mano che vengono raggiunte dalla perturbazione, non si spostano, ma oscillano intorno alla loro posizione iniziale. Passata l’onda, ritornano nella posizione di partenza. Ciò che si propaga non sono le particelle ma il movimento delle particelle. In altre parole, un’onda è una perturbazione che trasporta energia nello spazio (nel caso trattato, l’energia viene trasportata dalle particelle d’acqua). I parametri fisici che descrivono un’onda sono diversi, ma quelli di cui avremo bisogno sono solamente due: la lunghezza d’onda e la frequenza.

Figura 1) Rappresentazione matematica di un’onda periodica unidimensionale.

In figura abbiamo la rappresentazione matematica1 di un tipo molto semplice di onda, ovvero di un’onda periodica unidimensionale. Si tratta di una perturbazione che si ripete ciclicamente, ad intervalli regolari, e che si propaga lungo una sola direzione. L’intervallo di tempo, dopo il quale l’onda si ripete, è detto periodo (T). Sono onde periodiche, ad esempio, quelle lungo una corda quando la sua estremità viene pizzicata sempre allo stesso modo. Come si vede dalla figura, la lunghezza d’onda è la distanza tra due creste o tra due ventri consecutivi2 dell’onda. Si misura in metri (m) o in Angstroms (Å, 10-10  m) e s’indica con la lettera greca ʎ(lambda). La frequenza è definita come il numero di oscillazioni complete che l’onda compie in un’unità di tempo (ovvero in 1 secondo). Si misura in Hertz (Hz), in onore del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz, e s’indica con la lettera f. Quindi se un’onda compie 3 oscillazioni complete in un secondo allora la sua frequenza sarà di 3 Hz. La frequenza può essere anche definita come l’inverso del periodo dell’onda, f= 1/T. Inoltre, è fondamentale la relazione tra la lunghezza d’onda e la frequenza: ʎ=v/f , dove “v” è la velocità di propagazione dell’onda. Questa semplice equazione ci dice che lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali. In altre parole, se aumentiamo la lunghezza d’onda diminuisce la frequenza e se aumentiamo la frequenza diminuisce la lunghezza d’onda. Osservando la Figura 2 si può facilmente visualizzare questo concetto.

Figura 2) Come si nota, un’onda che ha una frequenza alta avrà di conseguenza una lunghezza d’onda corta. All’aumentare di ʎ diminuisce la frequenza.

L’ultimo concetto che ci serve sapere è legato all’intensità dell’onda, ovvero quanta energia trasporta. In particolare, senza entrare troppo nel tecnico, l’intensità di un’onda è direttamente proporzionale alla sua frequenza f. Quindi, maggiore è quest’ultima, maggiore sarà l’energia che trasporta l’onda. Inoltre, da quanto detto prima, possiamo dedurre che un’onda con un valore di ʎalto (e quindi una frequenza bassa) trasporterà meno energia rispetto ad un’altra di lunghezza d’onda minore (con un valore di ʎ più basso).

Ora possiamo finalmente introdurre le onde elettromagnetiche. Queste onde, che saranno le protagoniste dei prossimi articoli, sono la propagazione nello spazio del campo elettromagnetico. Il campo è un concetto largamente utilizzato in fisica. Esso è una regione di spazio che è soggetta a qualche tipo di forza che può interagire con la materia della regione. Un esempio è il campo gravitazionale del Sole che attrae i pianeti e li mantiene in orbita. Il campo elettromagnetico è una combinazione di campi elettrici e magnetici. Come il Sole così come ogni corpo dotato di massa – genera un campo gravitazionale, a produrre i campi elettrici e magnetici sono distribuzioni di carica elettrica e correnti elettriche variabili nel tempo. Essi si propagano nello spazio sotto forma di onde elettromagnetiche o radiazione elettromagnetica.

Figura 3) Rappresentazione di un’onda elettromagnetica che non è altro che la propagazione del campo elettromagnetico. Come si può vedere, esso è costituito da un campo elettrico (in rosso) e un campo magnetico (in blu) che si propagano nello spazio.

Le onde elettromagnetiche non hanno bisogno di un mezzo di propagazione e possono viaggiare nel vuoto. Grazie a questa loro proprietà, possono attraversare indisturbate il cosmo e arrivare sino a noi, sulla Terra. In particolare, nel vuoto, si propagano alla velocità della luce (c), ovvero 299 792 km al secondo. Infatti, la luce visibile è un tipo di radiazione elettromagnetica. A seconda della lunghezza d’onda e frequenza che ha l’onda, essa può assumere varie forme. Oltre alla luce visibile abbiamo i raggi gamma, i raggi x, gli ultravioletti, gli infrarossi, le microonde e infine le onde radio. Sono tutte la manifestazione della stessa cosa, ossia il campo elettromagnetico. Ciò che cambia è l’energia che trasportano. Scendendo per un attimo più nel dettaglio, grazie alla teoria della meccanica quantistica, sappiamo che tale energia della radiazione elettromagnetica è trasportata dai fotoni. Sono le particelle associate alla radiazione elettromagnetica, sono prive di massa e si propagano nel vuoto alla velocità della luce.

Ora ritorniamo alle varie frequenze che possono assumere le onde elettromagnetiche. Il loro insieme costituisce lo spettro elettromagnetico, come mostrato in Figura 4.

Figura 4) Lo spettro elettromagnetico, ovvero l’insieme di tutte le frequenze e lunghezze d’onda che la radiazione elettromagnetica può assumere

Naturalmente, anche in questo caso vale il rapporto di proporzionalità inversa tra lunghezza d’onda e frequenza: ʎ = c/f , dove “c” è la velocità di propagazione, ovvero la velocità della luce nel vuoto. Come si può osservare dalla Figura 4, a sinistra dello spettro troviamo le radiazioni ad alta frequenza e quindi a più alta energia. Man mano che ci muoviamo verso destra, la lunghezza d’onda aumenta e troviamo onde a più bassa energia. All’estrema destra dello spettro, si posizionano le onde meno energetiche di tutte, i nostri primi cantastorie, le onde radio.

Le onde radio possono avere una lunghezza d’onda minima di 1mm e frequenza di 300Hz fino a lunghezze d’onda di migliaia di chilometri e frequenze minori di 3Hz. Nel 1888, furono prodotte artificialmente, per la prima volta, da Heinrich Hertz che abbiamo già incontrato prima. Hertz ideò un’antenna a dipolo, la tipologia più semplice di antenna, costituita da due bracci capaci di emettere onde radio. Da allora, subito si comprese il potenziale immenso che queste onde potevano avere per lo sviluppo delle telecomunicazioni. Infatti, avendo lunghezze d’onda molto ampie e potendo viaggiare indisturbate per migliaia di chilometri, sono perfette per le trasmissioni a lunga distanza. S’iniziarono a sviluppare dispositivi tecnologici basati sull’emissione e ricezione delle onde radio, la radio, poi la televisione fino ad arrivare alle moderne reti cellulari, ai sistemi di radiocomunicazione terrestri, marittimi e aerei ed alle comunicazioni satellitari.

All’inizio del XX secolo, i fisici erano a conoscenza che le onde radio potessero essere prodotte da fenomeni naturali, come i fulmini, ma nessuno immaginava che ci fosse, letteralmente, un universo di sorgenti radio. A tutti sarà capitato di entrare in un negozio per cercare un articolo ben preciso che volevate acquistare da mesi, ma di uscire con qualcosa di completamente diverso. Spesso questo accade anche nella scienza: mentre si sta cercando di venire a capo della propria ricerca, capita di scoprire qualcosa di nuovo e inaspettato. Facciamo quindi la conoscenza di Karl Jansky e del suo esperimento. Jansky lavorava come fisico e radio ingegnere presso i laboratori Bell a Holmdel, New Jersey. Nel 1931, gli fu assegnato il compito di studiare le interferenze radio causate dai temporali, in modo da poter progettare antenne in grado di minimizzare queste fonti di rumore. Jansky si mise a lavoro e costruì un strano congegno, un’enorme antenna rotante, larga circa 30 metri e alta 6. I colleghi le diedero il soprannome di “Jansky’s merry-go-round”, la giostra di Jansky.

Figura 5) La giostra di Jansky

Man mano che il lavoro procedeva, Jansky fu in grado di attribuire parte del rumore che appariva nei dati a temporali vicini e alcuni più distanti. Il problema era che nelle misure rimaneva un debole ma continuo “sibilo” di origine sconosciuta. Inizialmente pensò che la sorgente fosse il Sole4. Tuttavia, sfruttando la mobilità dell’antenna, grazie a misurazioni più accurate, si rese conto che l’origine di quel “sibilo” era riconducibile al centro della Via Lattea e nel 1933 pubblicò i suoi risultati. Quella fu la prima volta che vennero “ascoltate” onde radio di origine cosmica.

Nonostante l’enorme portata della scoperta di Jansky, la comunità astronomica accolse la cosa tiepidamente. Durante la Grande Depressione, gli osservatori non potevano permettersi di investire i pochi soldi a disposizione in un’incerta nuova tecnologia. Quando Jansky annunciò la sua scoperta, Grote Reber era un giovane radio ingegnere. Trovò estremamente affascinanti le sue ricerche, tanto che nel 1937 costruì il primo prototipo di radiotelescopio, nel suo cortile a Wheaton, Illinois: un disco parabolico di circa 9 metri di diametro, con un ricevitore radio installato direttamente sotto di esso.  È l’inizio della radioastronomia moderna. Reber continuò le sue osservazioni e nel 1944 pubblicò la prima mappatura radio del cielo. Poco prima della fine della Seconda guerra mondiale, era l’unico radioastronomo al mondo. Finita la guerra, l’interesse per la radioastronomia crebbe sensibilmente e diventò cruciale la realizzazione di strumentazione sempre più potente per potere studiare l’universo radio.

Figura 6) Reber con il suo radiotelescopio “home-made”

I radiotelescopi, le nostre “orecchie” per ascoltare le onde radio provenienti dal cosmo, sono grandi dischi parabolici riflettenti, montati su strutture in grado di direzionarli verso qualunque punto del cielo. Come uno specchio riflette la luce, così le onde radio vengono riflesse dal disco e concentrate verso un ricevitore che amplifica il segnale, in modo da poter essere registrato e misurato. Le onde radio che possono penetrare l’atmosfera e giungere fino a noi vanno da lunghezze d’onda di pochi millimetri fino a circa 100 metri. Infatti, le onde più corte vengono assorbite dal vapore acqueo e altre molecole presenti nella bassa atmosfera mentre quelle con lunghezza d’onda maggiore vengono totalmente riflesse dalla ionosfera, la parte più esterna dell’atmosfera. Si tratta di una finestra ristretta. Il grosso problema della radioastronomia era il fatto che la radiazione che poteva arrivare a terra era molto limitata e poco intensa (poco energetica anche comparata alla luce visibile che ha frequenza maggiore). Per raggiungere livelli di dettaglio superiori, erano necessari radiotelescopi di svariati chilometri di diametro. Ma in breve tempo si escogitarono tecniche per ovviare al problema. Oggi abbiamo a disposizione radiotelescopi con diametri effettivi di chilometri, senza la necessità di dover costruire dischi colossali. Questo grazie ad una tecnica nota come interferometria. Consiste nel combinare le osservazioni fatte simultaneamente, in diversi luoghi, da gruppi di radiotelescopi più piccoli (array), collegati tra loro. Con questa tecnica incredibile è come se si osservasse con un unico, gigantesco radiotelescopio di diametro pari alla distanza dei due telescopi più lontani del sistema. Con una rete di telescopi posti su vari continenti, detti interferometri intercontinentali, si hanno dei diametri equivalenti di una decina di migliaia di chilometri. Risolto il problema legato alle dimensioni, vi è, tuttavia, un ulteriore difficoltà da tenere in considerazione quando si devono progettare i radiotelescopi: il luogo dove costruirli. Se vogliamo osservare un bel cielo stellato, di certo la scelta peggiore sarebbe farlo da un ambiente cittadino. Le troppe luci impedirebbero la visione della stragrande maggioranza dei corpi celesti potenzialmente osservabili. Al contrario, in località molto lontane dai centri abitati ed estremamente “buie”, durante una notte limpida, saremmo sormontati da una cupola di stelle. Infatti, i più grandi osservatori astronomici sono situati in luoghi quanto più lontani possibili dalle grandi zone abitate. I criteri per scegliere il posto adatto per un radiotelescopio sono simili, ma in questo caso si ricerca un diverso tipo di “buio”: ciò che veramente serve è il silenzio radio. Oggi, la maggior parte dei dispositivi tecnologici che usiamo emette onde radio. Se i nostri occhi fossero sensibili alle radioonde, come Neo quando riesce a percepire Matrix, vedremmo un groviglio accecante di segnali radio provenire da ogni dove. Quindi, se ai tempi di Jansky si voleva isolare il rumore radio delle sorgenti naturali, oggi i radioastronomi cercano di fare il contrario: ottenere dati il meno possibile “sporcati” dalle radiosorgenti artificiali. Si cerca, quindi, di costruire i radiotelescopi in luoghi isolati e schermati, per quanto possibile, dal caos dei segnali radio artificiali. Un esempio è il Green Bank Observatory in West Virginia, situato nel cuore della National Radio Quiet Zone, in cui è proibito usare wi-fi, cellulari, microonde e auto con motori diesel, anche se una volta gli scienziati hanno identificato del rumore causato da alcuni scoiattoli volanti. I roditori avevano al collo dei collari GPS, per studiarne i comportamenti migratori. L’osservatorio dispone di diversi radiotelescopi, tra cui il GBT da 100 metri di diametro, il più grande radiotelescopio singolo del mondo.

Figura 7) Il Green Bank Telescope (GBT) da 100 metri di diametro

La ricerca svolta presso questa struttura è estremamente varia. Sono condotti studi sulle pulsar, i pianeti del sistema solare, il mezzo interstellare, nebulose, stelle di neutroni, formazione stellare e delle galassie. Le onde radio, come vedremo fra poco, sono in grado, infatti, di raccontarci molto su un vasto numero di fenomeni e oggetti cosmici.

Come detto, spesso i radiotelescopi, per aumentarne la superficie osservativa, sono organizzati in gruppi o array. Degni di nota sono, ad esempio, il VLA (Very Large Array), situato vicino Socorro, New Mexico, un array costituito da ben 27 strumenti attivi, ognuno di 25 metri di diametro. In particolare, si trova in un deserto piatto circondato da montagne, che sono una schermatura naturale per le radio interferenze provenienti dalle città più vicine (anche se lontane migliaia di chilometri). Il clima desertico, tremendamente secco, è l’ideale per la radioastronomia. Infatti, il vapore acqueo, abbondante nell’aria quando i livelli di umidità sono alti, può distorcere o assorbire le onde radio e interferire, quindi, con le osservazioni. Abbiamo ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), situato nel Deserto di Atacama, Cile. Si tratta dell’osservatorio astronomico più complesso mai costruito dall’uomo, frutto della collaborazione di Nord America, Asia orientale ed Europa. Su di un altopiano, a 5000 metri di altezza, coprendo un’area di 6600 metri quadrati, sorge l’array costituito da 66 telescopi: cinquantaquattro hanno un diametro di 12 metri e dodici un diametro di 7 metri. ALMA, oltre alle onde radio, è sensibile anche a luce cosmica a cavallo tra il radio e l’infrarosso. Molti oggetti celesti emettono questo tipo di radiazione e, quindi, questa sua caratteristica è stata cruciale per la ricerca astronomica negli anni. Ma ciò che rende davvero speciale ALMA è che l’array non ha una disposizione fissa, ma variabile. Infatti, le sette antenne da 12 metri sono mobili e possono essere spostate. In questo modo è possibile passare da configurazioni molto chiuse, di soli 160 metri di diametro, ad altre molto larghe, anche di 16 chilometri di diametro. Le configurazioni più estese permettono ad ALMA di osservare dettagli più fini mentre quelle più compatte offrono una maggiore sensibilità, consentendo di osservare oggetti più deboli.

Figura 8) Una spettacolare foto dall’alto di ALMA.                                                                                                                

Anche in Italia abbiamo un grande interferometro, detto la Croce del Nord, situato presso Medicina, vicino Ferrara e collegato a due grandi radiotelescopi, uno in Sicilia e l’altro in Sardegna.

Ovviamente ci sarebbero ancora numerosi radio-osservatori, sparsi in tutto il mondo, di cui parlare, ma concludiamo con l’incredibile progetto dell’Event Horizon Telescope (EHT), che ci ha fornito una delle immagini più importanti della storia, ponendo una pietra miliare nell’astronomia: una ricostruzione fotografica dell’orizzonte degli eventi di un buco nero supermassiccio. Prima di descrivere il progetto e l’immagine del buco nero, soprannominata “la foto del secolo”, parliamo brevemente di quello che le onde radio di origine cosmica possono effettivamente raccontarci sull’universo. Tramite le onde radio possiamo osservare e “ascoltare” fenomeni altrimenti invisibili. Fin dalle prime osservazioni, ai tempi di Jansky e Reber, si scoprì che numerose stelle della nostra galassia sono emettitori radio, compreso il nostro Sole. Analizzando le emissioni di una radiosorgente si può dedurre la natura di numerosi processi interni all’oggetto e, inoltre, è possibile studiare le caratteristiche del gas interstellare o intergalattico in cui il corpo è immerso. Spesso si sono osservate radiosorgenti che avevano caratteristiche tali da supporre fossero resti di supernova, ovvero le spoglie di una stella ormai esplosa. Molte di queste, osservandole in ottico, si sono effettivamente rivelate essere supernovae esplose in epoca preistorica. Un esempio è la nebulosa del Granchio, nella costellazione del Toro, che in notti particolarmente limpide può essere osservata anche con un binocolo di medie dimensioni. Al centro dei resti di supernova si possono trovare le pulsar. Sono stelle di neutroni, uno dei possibili stadi finali della vita di una stella, rotanti e dotate di un forte campo magnetico. Alcune di esse possono essere osservate nella banda della radiazione visibile o dei raggi x, molte altre sono rilevabili grazie alle loro emissioni radio. La prima pulsar fu scoperta nel 1967, dall’astrofisica Susan Jocelyn Bell Burnell, che all’epoca si occupava di radioastronomia presso l’università di Cambridge. Fu durante quel periodo che notò un segnale che pulsava regolarmente. All’inizio la sorgente venne chiamata “LGM” (Little Green Men, piccoli omini verdi) poiché  si pensava potesse essere un segnale proveniente da esseri extraterrestri. In seguito, Jocelyn capì che si trattava di una nuova classe di stelle, denominata pulsar. Le onde radio, inoltre, grazie alla loro grande lunghezza d’onda, possono attraversare nubi di polveri e gas4, rendendo “visibile” ciò che nascondono. In questo modo è stato possibile osservare direttamente la nascita di pianeti o il centro della nostra galassia. In particolare, ALMA ha fornito un fondamentale contributo in questi ambiti. Vi sono anche numerose radiosorgenti extra-galattiche, come le radiogalassie e i quasar. Le prime, come suggerisce il nome, sono forti sorgenti di onde radio. I secondi sono tra gli oggetti più antichi dell’universo mai osservati e sono in grado di emettere enormi quantità di energia, tra cui, ovviamente, radiazione nelle frequenze radio. Queste sono solo una parte delle tantissime storie che le radioonde cosmiche ci hanno raccontato e che, nei decenni, siamo stati in grado di ascoltare. Ora possiamo ritornare all’Event Horizon e alla “foto del secolo”.  L’EHT è un progetto internazionale, con l’obiettivo di studiare la regione esterna di due grandi buchi neri supermassicci: SgrA* al centro della nostra galassia, la Via Lattea e M87 al centro della galassia Virgo A. I buchi neri sono l’ultima fase della vita di una stella di grandi dimensioni. Nei suoi ultimi istanti, la stella collassa su se stessa, comprimendosi fino a formare, appunto, un buco nero. Si tratta di un oggetto celeste esotico e misterioso, caratterizzato da una gravità così intensa che nemmeno la luce può sfuggirvi. I buchi neri supermassicci sono i più grandi, con una massa anche miliardi di volte quella del Sole. Questi corpi, come SgrA* e M87, si trovano al centro delle galassie e sono occultati dalle nubi di polveri e gas che abbondano nei nuclei galattici. Ed è qui che entra in gioco l’Event Horizon. L’EHT è un array di radiotelescopi su base globale. Infatti, è costituito da diversi radio osservatori, sparsi in tutto il mondo, per formare un unico radiotelescopio virtuale del diametro della Terra, come si può osservare dalla figura 9. I radiotelescopi, come abbiamo visto, possono “vedere”, almeno in parte, attraverso le nubi di polveri e gas. Tramite l’interferometria, sono stati combinati i dati provenienti da tutti gli osservatori. Tuttavia, i dati raccolti davano solo alcune indicazioni sulla struttura del buco nero: c’erano ancora diverse informazioni mancanti. Per risolvere il problema, è stato ideato un algoritmo di ricostruzione delle immagini di ultima generazione, in grado di colmare i gap nei dati e ricostruire l’immagine del buco nero. Questo sforzo titanico ha portato a pubblicare nell’aprile del 2019 la prima immagine in cui è possibile osservare l’orizzonte degli eventi di un buco nero, ovvero la sua parte più esterna.

Figura 9) La rete globale di radiotelescopi di EHT
Figura 10) L’orizzonte degli eventi di M87, al centro di Virgo A. Il disco intorno al buco nero è la materia che gli orbita intorno che riscaldandosi, emette radiazione in parte osservabile dai radiotelescopi.

Successivamente, a maggio 2022, è stata presentata anche l’immagine di Saggittarius A* (SgrA*):

Figura 10) La prima immagine del buco nero al centro della nostra galassia.

Siamo, così, giunti alla fine di questo primo viaggio nell’astronomia multimessaggera. Grazie ai nostri primi cantastorie, le onde radio, partendo da un “sibilo” nei dati di un ingegnere che studiava le radio interferenze dei temporali, siamo arrivati a studiare stelle, pulsar, galassie così antiche da portarci all’alba dell’universo, fino ad ottenere la prima immagine di un buco nero. La radioastronomia è una branca dell’astronomia che offre un ventaglio infinito di possibilità e sicuramente ci svelerà storie ancora sconosciute del nostro universo. Basterà tendere le orecchie e ascoltare.

A cura di Giuseppe Lamberti

       BIBLIOGRAFIA

Note:

1    Per chi mastica un po’ di analisi matematica, si tratta di una funzione sinusoidale (o cosinusoidale).

2    Sono i punti di massimo e di minimo della funzione.

3  Jansky osservò che il rumore cambiava gradualmente, in un ciclo di 24h. Inoltre, ogni giorno raggiungeva il suo picco in anticipo di 4 minuti. La Terra impiega, mediamente, a fare un giro intorno al proprio asse rispetto al Sole, circa 24h (giorno solare). Ma se si prendono come riferimento le stelle, considerate in prima approssimazione fisse, la Terra compie una rotazione completa intorno al proprio asse in anticipo di 4 minuti rispetto al giorno solare (è quello che gli astronomi chiamano giorno siderale). Jansky allora concluse che il rumore dovesse arrivare da qualche parte ben più lontana del sole.

4  Tranne per le nubi di gas ionizzato che riflettono completamente le onde radio, come accade, ad esempio, con la ionosfera terrestre.

1 commento su “ASTRONOMIA MULTIMESSAGGERA: I CANTASTORIE DEL COSMO – ATTO I – LE ONDE RADIO”

  1. L’articolo è molto interessante e mi ha permesso di capire perfettamente l’argomento trattato pur essendo ben lontano dal possedere qualsiasi competenza in materia. Complimenti per la fluidità della narrazione e per la capacità di aver reso semplici concetti, altrimenti, complicati.

    È davvero bello e affascinante sapere che anche l’universo non può far a meno, proprio come l’umanità, di narrare.

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