Continuiamo la nostra storia. Eravamo rimasti ai nostri due fisici, Wilson e Penzias, alle prese con la loro antenna e quello strano rumore di fondo di origine sconosciuta.
Misurando questo rumore, trovarono che aveva una temperatura di circa 3 K (gradi Kelvin), ovvero 3 gradi sopra lo zero assoluto (-273,15 gradi Celsius). Prima di quella scoperta, vi erano alcune teorie cosmologiche che prevedevano la presenza di un fondo cosmico a microonde, il quale permeava tutto lo spazio, ad una temperatura di circa 3-5 K e che costituirebbe l’eco di un universo primordiale più “piccolo3 “, denso, opaco e, soprattutto, caldo rispetto a quello attuale. Ma cominciamo dall’inizio. La cosmologia è una branca della fisica che studia l’origine e l’evoluzione dell’universo. I due fronti principali su cui possono lavorare gli scienziati sono quello teorico, formulando teorie utilizzando il linguaggio della matematica, e quello sperimentale, ideando esperimenti replicabili e prendendo misure del fenomeno in esame. In realtà, ci sarebbe anche il fronte computazionale in cui si affrontano i problemi tramite l’uso massiccio di analisi numerica e simulazioni al computer tramite programmi dedicati. Ovviamente il confine tra questi vari aspetti della scienza non è sempre netto e, spesso, il lato teorico-computazionale si mescola con quello sperimentale e viceversa. Comunque, una teoria che descrive un certo fenomeno o aspetto della natura, per risultare valida, deve produrre risultati che possono passare al vaglio degli esperimenti. Se risultati teorici e misure sperimentali sono in buono accordo, allora la teoria potrà essere considerata valida. Ciò che accade nel corso di secoli di ricerca e di avanzamento tecnologico-scientifico è che vengono prodotte teorie sempre più avanzate, le quali possono falsificare le precedenti oppure arricchirle ed inglobarle. Ai tempi di Newton, ciò che si pensava dell’universo nel suo insieme era che fosse statico, senza un’origine, che esiste da sempre, infinito e uniformemente popolato da stelle. Nel 1915, però, arrivò Albert Einstein con la sua teoria della Relatività Generale. L’universo concepito da Newton non era in accordo con le nuove equazioni. Einstein, quindi, estrapolò il modello di universo che meglio si adattava alla sua teoria. Tuttavia, ironia della sorte, uno degli scienziati più creativi mai vissuti, famoso per mettere in dubbio qualsiasi assunzione e autorità, non riuscì a mettere in discussione la cosa più importante di tutte: il suo modo di pensare e, in particolare, la sua idea preconcetta che l’universo fosse statico e immutabile. Aggiunse, così, un termine supplementare nelle equazioni per far sì che l’universo risultasse statico. Ovviamente, come vedremo subito, non è così che stanno le cose. Chi fu davvero in grado di avere il coraggio e la sicurezza di ascoltare correttamente le equazioni di Einstein, fu il fisico e matematico russo Alexander Friedmann. Le soluzioni che ottenne furono sconvolgenti: non erano statiche ma dipendenti dal tempo. Quello che emergeva dai calcoli era che il nostro universo fosse in movimento e che, in particolare, si stesse contraendo o espandendo. Nel secondo caso dovremmo osservare che tutti gli oggetti si allontanano gli uni dagli altri. Tuttavia, ed è qui che risiede l’aspetto fondamentale di questo fenomeno, non sono gli oggetti, che vedremo essere le galassie, a muoversi ma è lo spazio che le contiene ad espandersi. Per questo si usa l’espressione “universo in espansione”, in quanto è la struttura stessa del cosmo a cambiare. Per visualizzare questo concetto si può usare l’esempio classico del palloncino: se si prende un palloncino con sopra dei puntini colorati, inizialmente si troveranno molto vicini tra loro ma, man mano che si gonfia il palloncino, essi si allontaneranno gli uni dagli altri. Ovviamente, non sono i puntini a spostarsi ma la gomma del palloncino ad espandersi. L’universo modellizzato da Friedmann è un po’ come il palloncino (anche se la sua superficie è bidimensionale e noi viviamo in uno spazio tridimensionale). Un esempio un po’ più geometricamente accurato, in quanto coinvolge un oggetto tridimensionale, è pensare all’uvetta nell’impasto di un panettone che si espande per la lievitazione. La naturale conseguenza di un universo in espansione è che, andando indietro nel tempo, tutto fosse più vicino. Le equazioni di Einstein, infatti, prevedevano un istante nel passato in cui tutto l’universo fosse concentrato in un unico punto di densità infinita. Nasce, così, l’idea del Big Bang. La risposta della comunità scientifica alle scoperte di Friedmann fu estremamente fredda e, alla fine, lo scienziato finì per essere completamente ignorato. Lo stesso termine “Big Bang” fu coniato in senso canzonatorio dal famoso cosmologo Fred Hoyle, fermo sostenitore della teoria dell’universo stazionario. Friedmann, almeno in parte, fu ignorato perché era in anticipo sui tempi. All’epoca, la conoscenza dell’universo era limitata alla sola Via Lattea ed essa, sicuramente, non si stava espandendo. La situazione si ribaltò completamente grazie alle misure di un altro colosso dell’astronomia e della cosmologia: Edwin Hubble. Nel 1925, tre anni dopo la pubblicazione dei calcoli di Friedmann, Hubble confermò che al di fuori della Via Lattea esistono altre galassie, come ad esempio la galassia di Andromeda che fu la prima ad essere identificata dall’astronomo come galassia indipendente e molto lontana dalla nostra. Hubble, inoltre, scoprì che questi oggetti, incredibilmente, si stavano allontanando da noi in maniera proporzionale alla distanza. In particolare, trovò che la velocità “v” di allontanamento aumentava con la distanza “d” secondo la formula che prende il nome di legge di Hubble:
v=Hd
Dove H è detta costante di Hubble.
Era la prova schiacciante dell’espansione dell’universo. Sfortunatamente, Friedmann morì di febbre tifoide quello stesso anno, a soli 37 anni di età e non riuscì a vedere le sue ricerche riconosciute dalla comunità scientifica. Tuttavia, resta uno dei pionieri ed “eroi” assoluti della cosmologia moderna. L’universo, quindi, si espande e le galassie si stanno allontanando da noi. Ovviamente il nostro non è un punto privilegiato, il centro di tutto, da cui parte l’espansione. Se ci trovassimo in un’altra galassia, dall’altra parte dell’universo, comunque vedremo le galassie allontanarsi da noi secondo la legge di Hubble. Se le galassie si stanno allontanando, intuitivamente possiamo pensare che in passato fossero più vicine. Ma quanto tempo fa? La risposta è fornita dalla costante di Hubble, in particolare dal valore 1/H pari a 14 miliardi di anni, l’età dell’universo. All’epoca, tutto si trovava compresso in uno stato di altissima densità. Grazie allo sviluppo di strumentazione astronomica sempre più avanzata, le nostre “orecchie” per ascoltare il cosmo, possiamo assistere praticamente in diretta all’evoluzione che ha avuto il nostro universo. Infatti, osservare regioni del cosmo lontane equivale ad andare indietro nel tempo, dato che la luce ha una velocità finita e non ci arriva in modo istantaneo. Più ciò che stiamo osservando è lontano più riusciremo a guardare indietro nel tempo. Per capire bene questo concetto ed avviarci verso l’analisi finale dei nostri cantastorie, le microonde dell’universo neonato, trovo molto adatta ed efficace l’analogia dell’ “aula cosmica” che viene utilizzata dal cosmologo Max Tegmark nel suo libro “L’universo matematico”. Immaginate di trovarvi in un grande auditorium e di stare sul palco. Guardando il pubblico osservate qualcosa di strano: nelle prime file ci sono persone più o meno della vostra età, alcune file più indietro sono seduti degli adolescenti, qualche altra fila più indietro ci sono dei bambini, alle loro spalle ci sono dei bebè e, infine, nell’ultimissima fila non c’è nessuno. Osservando l’universo vediamo qualcosa del genere: le galassie più vicine sono mature e completamente formate mentre quelle più lontane sono piccole galassie neonate, non ancora sviluppate. Guardando ancora più lontano non vediamo niente dato che all’epoca il cosmo era pieno di idrogeno ed elio gassoso. Questi gas, essendo trasparenti, sono invisibili ai telescopi. Tuttavia, dietro l’ultima fila vuota della nostra “aula cosmica”, ad un tratto scorgiamo un tenue bagliore: è il nostro alone di microonde. Quindi da dove proviene questa radiazione e cosa ci può raccontare sulle origini del nostro universo? Qui entra in gioco un altro colosso della cosmologia di quegli anni, un fisco russo, allievo proprio di Friedmann: George Gamow. Lo scienziato ipotizzò che, man mano che andiamo a ritroso nella storia dell’universo, la densità del cosmo aumenterebbe in continuazione. Come abbiamo visto, ad un certo punto l’universo era riempito di idrogeno gassoso. Se la densità aumenta (perché l’universo fondamentalmente si sta comprimendo guardando la sua evoluzione al contrario), significa che l’idrogeno gassoso si comprimerà, riscaldandosi sempre di più e, infine, si trasformerà in plasma, il quarto stato della materia. Gli stati della materia con cui abbiamo a che fare quotidianamente sono tre: solido, liquido e gassoso. Il plasma è un gas che è stato compresso, e quindi riscaldato, tanto da essere “ionizzato”. L’energia fornita al gas è tale da strappare gli elettroni dagli atomi: il plasma, quindi, è una zuppa di elettroni liberi e ioni (atomi a cui, in questo caso, sono stati sottratti degli elettroni). Secondo Gamow, circa 400.000 anni dopo il Big Bang, l’universo sarebbe stato una “palla” di plasma incandescente. Nello specifico, un plasma di idrogeno, un brodo di elettroni liberi e protoni (un atomo di idrogeno è costituito da un protone e un elettrone), ad una temperatura di circa 3000 K (gradi Kelvin). All’epoca l’universo, oltre ad essere molto caldo, era opaco. La sfera di plasma rappresenta un muro per quello che c’era prima, muro attraverso il quale non è possibile guardare. Questa opacità è dovuta al fatto che il plasma intrappolava i fotoni che, rimbalzando da un elettrone all’altro, non erano in grado di diffondersi. I fotoni sono le particelle che “costituiscono” la radiazione elettromagnetica (la luce, ad esempio, è fatta di fotoni). Queste particelle sono confinate nel plasma come palline di un flipper cosmico che rimbalzano dappertutto, deviando in continuazione il loro percorso. Tutto ciò che è successo prima è irrimediabilmente “censurato” dal muro di plasma (ovviamente questo non ha fermato i fisici che sono riusciti, tramite tanta matematica ed osservazioni, a ricostruire la storia dell’universo fino a 10^ -36 secondi dopo il Big Bang, ma per questa storia non basterebbe un articolo dedicato). Comunque, secondo il modello dell’universo di Gamow, descritto nel suo libro del 1946, avremmo potuto osservare questa sfera di plasma. Grazie all’aiuto di due studenti, la sua teoria prevedeva che la radiazione emessa dal plasma dovesse avere una temperatura compresa tra i 3 e i 5 gradi Kelvin, che è proprio la temperatura di quel rumore a microonde che misurarono in seguito Wilson e Penzias nel 1965. Ciò che accadde è che, a causa dell’espansione dell’universo, il plasma caldo iniziò a raffreddarsi, i protoni iniziarono a catturare gli elettroni liberi formando atomi di idrogeno e, finalmente, la radiazione (i fotoni) fu in grado di diffondersi: il flipper si era aperto e le palline potevano scappare via. Inizialmente, essendo il plasma alla temperatura di 3000 K, la radiazione emessa era infrarossa4. Tuttavia, durante il suo viaggio di 14 miliardi di anni, si è raffreddata a causa dell’espansione dell’universo, fino ad arrivare a noi alla temperatura di 3 K diventando radiazione a microonde5. Le fasi principali dell’evoluzione dell’universo sono raffigurate in Figura 6.
Siamo giunti, così, a dove eravamo partiti: siamo nel 1965 e Penzias e Wilson, tra difficoltà di natura tecnologica e piccioni impertinenti, rilevano la radiazione cosmica di fondo a microonde confermando la teoria di Gamow e ascoltando, per primi, l’eco del Big Bang. La scoperta porta una vera rivoluzione nella cosmologia, tanto che nel 1978 i due ricevono il Premio Nobel per la fisica. Da quel momento in poi, si scatenò una gara per ottenere le prime immagini. Tuttavia, la strumentazione del periodo non era ancora abbastanza tecnologicamente avanzata per ottenere ciò che si sperava di osservare: delle fluttuazioni di temperatura locali. La radiazione cosmica di fondo, infatti, presenta una distribuzione della temperatura estremamente omogenea. Tuttavia, il nostro universo ha una distribuzione della materia disomogenea: nel cosmo la materia è concentrata in giganteschi ammassi di galassie che sono separati, l’uno dall’altro, da milioni di anni luce di spazio vuoto. Quindi una distribuzione tutt’altro che omogenea! Le fluttuazioni di temperatura dovevano esserci. Esse, seppur piccolissime, sarebbero state amplificate dall’espansione dell’universo fungendo da “semi”, da cui sarebbero nate le distribuzioni di galassie che osserviamo oggi. Erano necessari strumenti con una sensibilità eccezionale e, per ottenere una tale “acuità visiva”, ci vollero trent’anni di sviluppi tecnologici. Finalmente, nel 1992, George Smoot annunciò i dati di COBE, COsmic Background Explorer, un avanzatissimo satellite della NASA per lo studio del fondo a microonde: erano state trovate le fluttuazioni. Stephen Hawking definì l’evento come “la scoperta più importante del secolo, se non di tutti i tempi”. Era la prima immagine dell’universo neonato, quando aveva “solo” 400.000 anni.
La mappa di COBE ha posto una pietra miliare nella cosmologia. Tuttavia, questa prima immagine, frutto di decenni di sforzi scientifici, fu solo l’inizio del viaggio. Seguirono molti altri esperimenti come BOOMERANG e MAXIMA, in cui i rilevatori erano montati su palloni atmosferici. Ogni esperimento spingeva la sensibilità degli strumenti sempre più in là e l’analisi dei dati diveniva continuamente più complessa ma anche più avanzata ed efficace. Tutti questi sforzi sono culminati con le mappe dei satelliti WMAP e PLANCK che ci hanno fornito immagini con una qualità dei dettagli mai vista prima.
Le differenze di temperatura sono anche dette, in gergo più tecnico, “anisotropie” della radiazione cosmica di fondo. La figura 11 rende ancora di più l’idea delle microscopiche variazioni di temperatura del fondo a microonde.
Il fondo a microonde, quindi, ci ha fornito un’immagine diretta di com’era l’universo neonato, 400.000 anni dopo il Big Bang. Rappresenta la radiazione più antica che chiunque nell’universo potrà mai osservare. Ciò che può raccontare questo tenue rumore cosmico è veramente tanto. Oltre a dirci che l’universo, per un periodo della sua vita, è stato una palla calda e opaca di plasma, lo studio della radiazione cosmica ci ha fornito importanti informazioni su com’è distribuita la materia nell’universo attuale. Quello che si è trovato è che la maggior parte della materia ed energia che riempie l’universo non è quella classica che conosciamo. Senza entrare troppo nel dettaglio, gli astronomi, osservando i moti propri delle strutture galattiche, sono giunti alla conclusione che la materia ordinaria osservabile non è abbastanza abbondante per giustificare ciò che si osserva. In particolare, si è visto che le regioni più esterne di molte galassie orbitano con velocità troppo alte, in disaccordo con i calcoli. Per ovviare a questo problema, gli astronomi hanno ipotizzato la presenza di ulteriore materia che influenza gravitazionalmente la materia ordinaria ma è invisibile ai nostri strumenti: la materia oscura. Inoltre, recenti studi hanno evidenziato che l’espansione dell’universo sta accelerando. Anche qui, questa accelerazione può essere spiegata ipotizzando che via sia un tipo particolare di energia che va contro la gravità, la quale tende ad avvicinare gli oggetti, e funge da “motore” per l’espansione accelerata: l’energia oscura. Ad oggi, nessuno sa con certezza cosa siano la materia e l’energia oscura (il termine “oscura” serve proprio a sottolineare la nostra ignoranza sulla loro natura). Tuttavia, grazie allo studio della radiazione cosmica di fondo, sappiamo che costituiscono circa il 95% della massa-energia contenuta nell’universo, come si può vedere in figura 13.
Infine, un’altra storia incredibile che può raccontare il fondo a microonde riguarda la forma del nostro universo. Infatti, studiando la struttura della radiazione cosmica, possiamo misurare la geometria del cosmo. In particolare, si può studiare la curvatura dei fotoni per dedurre, quindi, la curvatura dello spazio. Ciò che si è trovato è che, su grande scala, la curvatura dell’universo è praticamente nulla: la geometria dello spazio è piana. Per ottenere questo risultato, sono state necessarie un numero elevatissimo di misure, tutte estremamente dettagliate e in alta risoluzione. I dati di WMAP e PLANCK sono stati assolutamente decisivi per questo studio.
Siamo giunti alla fine di questo secondo viaggio nell’astronomia multimessaggera. Siamo partiti da un forno a microonde per arrivare alla storia dell’universo primordiale. Ma i veri protagonisti ed eroi di questo racconto, sono stati, senza alcun dubbio, gli scienziati che abbiamo incontrato i quali, grazie alla loro passione e volontà incrollabili, sono stati in grado di ascoltare le profondità dell’universo rivelandoci le sue origini.
Autore: Giuseppe Lamberti
3 Quando si parla di dimensioni dell’universo sarebbe più corretto utilizzare il termine “scala dell’universo”.
4 La sfera di plasma è assimilabile ad un corpo nero, ovvero un oggetto ideale che può emettere radiazione elettromagnetica, il cui tipo dipende unicamente dalla sua temperatura. A 3000 gradi Kelvin, la radiazione emessa è nel vicino infrarosso mentre a 3 gradi Kelvin è nelle microonde.
5 La radiazione, per chi è familiare con l’argomento, ha subito uno spostamento verso il rosso (redshift) dall’infrarosso alle microonde. Il fenomeno comunque verrà trattato nei prossimi articoli