ASTRONOMIA MULTIMESSAGGERA – I CANTASTORIE DEL COSMO – ATTO IV – LA LUCE (PARTE 2)

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta della radiazione visibile. In questa seconda parte ci concentreremo sulla strumentazione ottica, le nostre “orecchie” con cui possiamo ascoltare la Luce del cosmo, e sui grandi osservatori astronomici, passati e moderni, sparsi in giro per il mondo. Nel precedente articolo ci eravamo lasciati con il cannocchiale di Galileo. Nonostante fosse di dimensioni modeste e di fattura piuttosto rudimentale, quel piccolo tubo spalancò le porte su un nuovo modo di fare astronomia e osservare la volta celeste. Prima dell’avvento dei telescopi, infatti, i grandi osservatori erano forniti di numerosi strumenti di misura come gli astrolabi e i quadranti con cui gli astronomi dell’antichità potevano misurare con grande precisione la posizione degli astri e tracciarne i movimenti, creando mappe e carte della volta celeste. Tuttavia, per quanto con il tempo raggiunsero livelli di realizzazione molto elevati e vennero utilizzati sempre meglio dagli studiosi, rimanevano, comunque, strumenti di misura con cui osservare il cielo ad occhio nudo con tutte le limitazioni del caso che abbiamo visto nel precedente articolo.

Figura 1) Esempio di un astrolabio. Esso utilizza la posizione delle stelle, del sole e della luna per determinare l’ora e la latitudine. È stato uno strumento fondamentale nell’antichità, largamente utilizzato dagli astronomi e dai navigatori.
Figura 2) Rappresentazione di un quadrante, strumento con cui gli astronomi misuravano la posizione angolare, rispetto all’orizzonte, degli oggetti celesti.

L’ultimo grande osservatorio astronomico dell’antichità fu quello costruito tra il 1576 e il 1596 dall’astronomo Tycho Brahe. Nato in Danimarca solo alcuni mesi dopo la morte di Copernico, costruì l’Osservatorio di Uraniborg sull’isola di Hven, nello stretto tra la Danimarca e la Svezia. La struttura vantava tra gli strumenti più precisi e avanzati dell’epoca. Brahe ne realizzò diversi, tra cui un nuovo tipo di quadrante meridiano “a muro” molto sofisticato. L’astronomo eseguì migliaia di osservazioni molto accurate sulla posizione delle stelle e dei pianeti. Il catalogo che redasse, in cui riportò le misure prese, era il migliore mai fatto fino ad allora. Alla sua morte, dopo aver perso il sostegno del re di Danimarca, sfortunatamente il suo Osservatorio venne distrutto.

Figura 3) Incisione rappresentante l’Osservatorio di Uraniborg.

Con l’invenzione del telescopio, tra il XVII e il XVIII secolo, nacque una nuova generazione di osservatori i quali, con il tempo, diventarono sempre più grandi e tecnologicamente avanzati, fino ad arrivare a quelli odierni che ci permettono di osservare l’universo nelle sue più remote profondità. Ma procediamo con ordine. Se prima le osservazioni erano riservate ad una stretta nicchia di ricchi privati, come Tycho Brahe ad esempio, e di illustri figure accademiche, come Galileo Galilei, ora, grazie alle istituzioni reali, il numero di osservatori aumentò sensibilmente. Ad esempio, Luigi XIV, nel 1666, fondò l’Académie des Sciences a Parigi e costruì, nel 1672, l’osservatorio reale. In Inghilterra, Carlo II istituì la Royal Society e fece realizzare l’osservatorio reale di Greenwitch. In quegli anni, inoltre, Isaac Newton (che abbiamo già incontrato in precedenza nell’articolo sulla radiazione infrarossa) inventò un nuovo tipo di telescopio composto non più da lenti, come il cannocchiale di Galileo, bensì da specchi che prese il nome di telescopio newtoniano o Newton. Fra poco approfondiremo nel dettaglio questo e gli altri schemi ottici di cui può essere dotato un telescopio. Ritornando ai nostri primi osservatori, fino alla fine del XVIII, tuttavia, gli astronomi utilizzavano ancora strumenti poco potenti, abbastanza rudimentali e con obiettivi di piccole dimensioni. Da allora, però, i telescopi iniziarono a diventare rapidamente sempre più grandi e di qualità migliore: il diametro delle componenti ottiche raddoppiava ogni 40 anni circa. I telescopi a rifrazione furono rivoluzionati nel 1758 dall’ottico inglese John Dolland il quale risolse il problema dell’aberrazione cromatica. L’astronomo William Herschel (già incontrato nell’articolo sugli infrarossi) e altri costruirono enormi telescopi a riflessione, ovvero che montavano specchi e non lenti: nel 1789, Herschel installò a Slough, in Inghilterra, uno strumento riflettore di ben 1,25m di diametro.

Figura 4) Incisione rappresentante l’osservatorio realizzato da Herschel e gestito insieme alla sorella, Caroline Herschel.

Fino ad ora sono stati nominati più volte termini come “telescopio rifrattore” e “telescopio riflettore”. Esaminiamo, quindi, nel dettaglio i diversi schemi ottici di un telescopio. Cominciamo con il rifrattore. I telescopi rifrattori sono strumenti che utilizzano dei sistemi di lenti per raccogliere e ingrandire la Luce proveniente dalla volta celeste. Come abbiamo già visto, i primi prototipi di telescopi, come il cannocchiale di Galileo, erano dei rifrattori in quanto costituiti da lenti.

Figura 5) Schema ottico di un telescopio rifrattore.

Come si può osservare dalla Figura 5, la Luce, entrando all’interno del tubo ottico, incontra una lente che la converge verso l’oculare (qui ci possono essere altre lenti) dove viene messa a fuoco. Questa tipologia di schema ottico presenta, tuttavia, un difetto abbastanza fastidioso: l’aberrazione cromatica. Come abbiamo visto nell’articolo sulla radiazione infrarossa, se facciamo passare attraverso un prisma della Luce bianca, ad esempio quella del Sole, essa verrà scomposta nel suo spettro di colori, dal violetto al rosso. La stessa cosa, sfortunatamente, accade con le lenti dei telescopi le quali, come con il prisma, rifrangono la luce (per questo si chiama telescopio rifrattore) e la scompongono: la luce blu dello spettro visibile avrà un punto di fuoco differente rispetto alla luce rossa (si veda Figura 6). Ciò comporta la creazione di aloni di luce colorata intorno all’oggetto che si sta osservando, compromettendone la visione. Questo problema prende il nome, appunto, di aberrazione cromatica.

Figura 6) Schema dell’aberrazione cromatica: la luce, attraversando la lente, viene scomposta nel suo spettro di colori. Tuttavia, i vari colori si formano in posizioni diverse lungo l’asse ottico della lente e, quindi, avranno punti di fuoco differenti.

Figura 7) Esempio di aberrazione cromatica: a destra abbiamo un’immagine della Luna senza l’aberrazione, mentre, a sinistra con l’aberrazione. Come si può facilmente notare vi sono dei sottili aloni colorati intorno all’oggetto.

Il problema fu risolto dal già sopraccitato John Dolland. L’ottico, dopo numerosi esperimenti, provando diverse combinazioni di lenti fatte con vetri di vari tipi, riuscì a realizzare il primo obiettivo acromatico, ovvero non affetto dalla fastidiosa aberrazione appena descritta, costituito da un doppietto di lenti che metteva a fuoco insieme il blu e il rosso. Tutt’oggi, i migliori rifrattori si basano sullo schema ottico ideato da Dolland.

Per ottenere immagini molto nitide e dettagliate di oggetti sempre più distanti è necessario aumentare le dimensioni dei telescopi: un obiettivo di diametro maggiore vuol dire più Luce raccolta e, quindi, immagini migliori. Lenti molto grandi e pesanti, oltre ad essere estremamente costose, diventano impossibili da costruire. I telescopi rifrattori non sono, infatti, l’ideale per realizzare strumenti di grandi dimensioni. Come detto, però, la grandezza e, in particolare, il diametro degli obiettivi veste un ruolo assolutamente prioritario per compiere osservazioni di altissima qualità. Per ovviare a questo problema si iniziò ad utilizzare, al posto delle lenti, degli specchi. La Luce, in questo caso, viene non più rifratta ma riflessa. Questi telescopi sono, quindi, detti riflettori. A seconda della forma e posizione degli specchi, tali strumenti possono essere di diverso tipo. In questo articolo vedremo in dettaglio la tipologia più semplice di riflettore: il telescopio Newton o Newtoniano. Fu presentato da Newton nel 1672. Qualche anno prima, nel 1663, il matematico e astronomo James Gregory progettò, solo teoricamente senza effettivamente costruirlo, un telescopio a riflessione costituito da due specchi: uno specchio primario che rifletteva la Luce su un più piccolo specchio secondario il quale, a sua volta, la rifletteva ad un oculare attraverso un foro al centro del primario (vedi Figura 8)

Figura 8) Schema ottico del telescopio riflettore di Gregory.

Newton, per la realizzazione del suo telescopio, s’ispirò al progetto di Gregory utilizzando, però, uno specchio secondario piatto che rifletteva la luce verso un oculare laterale. Come si può vedere in Figura 9, lo schema ottico di uno Newtoniano è tanto semplice quanto efficace: la Luce entrando nel tubo viene riflessa dallo specchio primario, che si trova sul fondo dello strumento, verso lo specchio secondario, inclinato di 45 gradi, il quale la indirizza verso l’oculare posto lateralmente. Qui si crea l’immagine che può essere messa a fuoco ed osservata.

Figura 9) Schema ottico di un telescopio Newton.

Gli specchi di grande diametro, a differenza delle lenti, sono molto più facili da realizzare e ciò rende i telescopi riflettori strumenti ideali per gli osservatori astronomici. L’osservatorio di Herschel, chiamato Casa Osservatorio (Observatory House), fu uno dei primi grandi osservatori della storia dell’astronomia. Come visto prima, il telescopio realizzato dall’astronomo era un riflettore con uno specchio primario di ben 1,20m di diametro montato all’interno di un tubo metallico lungo 12m. Da allora, la corsa per la costruzione di telescopi sempre più grandi e l’ideazione di nuove tecniche e tecnologie utili in campo astronomico non si è più fermata e continua senza sosta ancora oggi. Negli anni Quaranta del XIX secolo, la fotografia prese il posto della carta e della penna degli astronomi per la registrazione dei dati e delle immagini: le lastre fotografiche potevano essere esposte per ore e, in questo modo, fu possibile individuare oggetti invisibili tramite la semplice osservazione ad occhio nudo al telescopio. Fino ad allora, infatti, ci si limitava a guardare le immagini all’oculare e annotare ciò che si era visto. Il tutto, quindi, si basava sulle descrizioni soggettive e sulla memoria dell’osservatore. L’introduzione delle lastre fotografiche come rivelatore oggettivo delle immagini rappresentò un enorme passo in avanti nella ricerca astronomica. Verso la fine del XIX secolo, l’astronomia osservazionale raggiunse un ulteriore punto di svolta. Grazie a fondi messi a disposizione da uomini d’affari milionari, negli Stati Uniti vennero fondati nuovi dipartimenti e costruiti nuovi osservatori dotati delle migliori strumentazioni dell’epoca. Solo due secoli prima il massimo della tecnologia astronomica era costituito da semplici strumenti di misura come astrolabi e quadranti ed ora, invece, gli scienziati avevano a disposizione enormi telescopi automatici in grado di scandagliare e immortalare le profondità nascoste del cosmo. Si abbandonò definitivamente la realizzazione di osservatori dotati di strumenti rifrattori data l’impossibilità di realizzare lenti al di sopra del metro di diametro e si puntò tutto sulla costruzione di grandi telescopi riflettori. Il primo grande telescopio moderno è stato l’Hooker Telescope, il 2,5 metri di diametro di Monte Wilson in California. Qui vi lavorò il celebre astronomo Edwin Hubble (incontrato nell’articolo sulle microonde) il quale scoprì, osservando e studiando lo spettro delle galassie, che l’universo si sta espandendo.

Figura 10) L’Hooker Telescope di Monte Wilson

Successivamente vennero costruiti il 5 metri di Monte Palomar e il 6 metri dell’Unione Sovietica. Tuttavia, la realizzazione di questi strumenti fu estremamente complessa. Il vetro di cui è fatto lo specchio primario di questi enormi telescopi è una massa relativamente fluida e deformabile. Affinché la superficie riflettente mantenesse inalterata la sua geometria era necessario che lo specchio avesse uno spessore di circa un quinto del suo diametro. Nel caso di Monte Palomar, ad esempio, era di un metro! Si trattava, quindi, di una massa di vetro enorme e, soprattutto, pesante che poteva deformarsi, ponendo numerosi problemi di natura meccanica, dato che il telescopio, ovviamente, doveva muoversi per puntare e inseguire gli oggetti da studiare. All’epoca si pensava che non si potesse andare oltre quei diametri. Fortunatamente non è stato così. Oggi gli astronomi hanno a disposizione telescopi enormi situati in tutto il mondo. Un esempio è sicuramente il VLT (Very Large Telescope), realizzato dall’ESO (European Southern Observatory), l’osservatorio più avanzato al mondo nella banda visibile. Situato nel deserto di Atacama, in Cile, a cica 2600m di altitudine, si tratta di un sistema di quattro telescopi riflettori ciascuno con uno specchio primario di ben 8m di diametro, con una configurazione ottica di tipo Ritchey-Chrétien (si tratta di una tipologia di telescopio riflettore con una disposizione degli specchi molto simile a quella del telescopio di Gregory visto prima), affiancati da altri quattro telescopi minori di 1,80m di diametro. I quattro strumenti principali possono essere usati singolarmente oppure collegati tra loro, usando tecniche di interferometria, in modo da costituire un unico specchio virtuale di 16m di diametro. I singoli specchi sono spessi appena 20cm, niente a che vedere con lo spessore dello specchio di Monte Palomar, e sono sostenuti da quattrocento supporti i quali, periodicamente, ne correggono la posizione in modo da ottenere sempre immagini della massima qualità.

Figura 11) Il VLT a lavoro. Si possono vedere le quattro unità principali: da sinistra a destra, Antu, Kueyen, Melipal e Yepun, i nomi Mapuche, un popolo originario del Cile centrale, per i telescopi del VLT. Davanti, invece, abbiamo i quattro telescopi ausiliari, dedicati interamente all’interferometria, la cui configurazione può essere cambiata spostandoli in 30 posizioni osservative diverse. Il laser giallo serve a creare una stella artificiale e grazie alle Ottiche Adattive si può eliminare quasi completamente la turbolenza atmosferica.

Grandi specchi possono essere realizzati anche con un sistema detto “a tasselli”. Lo specchio, quindi, non è costituito da un unico grande blocco ma da tante “mattonelle” riflettenti di forma esagonale che vanno a costituire il pavimento dello specchio, quasi come le cellette di un alveare. Anche in questo caso, i vari specchi sono sostenuti da numerosi supporti i quali ne controllano e modificano attivamente la posizione: una stella o una sorgente luminosa artificiale (stella di controllo) di tanto in tanto viene esaminata tramite sofisticati programmi di elaborazione dati e, a seconda della qualità dell’immagine, vengono mandati dei segnali ai supporti che riaggiustano la posizione degli specchi esagonali per ottenere sempre immagini con la massima qualità possibile. Tali ottiche vengono, per l’appunto, chiamate “ottiche attive”. Telescopi di questo tipo sono in funzione, ad esempio, in Arizona e due alle Hawaii, sulla cima del vulcano spento Mauna Kea, a 4200m di altitudine. Si tratta dei celebri telescopi gemelli Keck, ognuno di ben 10m di diametro.

Figura 12) Uno degli specchi primari dei telescopi Keck. Si può facilmente notare la struttura a tasselli o “ad alveare” costituita da diversi specchi più piccoli esagonali.

Ciò che però, sopra ogni cosa, contraddistingue gli osservatori di ultima generazione sono degli incredibili sistemi di correzione che permettono di eliminare quasi completamente gli effetti negativi della turbolenza atmosferica: un vero e proprio miracolo della tecnologia astronomica moderna. Innanzitutto, è necessario capire come l’atmosfera può degradare le immagini. Essa è composta da vari strati a diversa temperatura, i quali vengono agitati e mescolati dal vento producendo turbolenza. La Luce, attraversando queste bolle d’aria con diversi indici di rifrazione, viene così irrimediabilmente deformata. Ed è per questo motivo che i migliori osservatori del mondo sono costruiti in luoghi elevati e con un clima desertico. In questi posti, oltre ad esserci pochissimo inquinamento luminoso, grazie all’altitudine e al clima arido, l’aria è più rarefatta e con un basso tasso di umidità: ci sono, quindi, le condizioni ideali per l’osservazione astronomica. Tuttavia, costruire grandi telescopi in luoghi del genere non basta: all’aumentare del diametro migliora sicuramente la quantità di Luce che lo strumento può “raccogliere” ma, allo stesso tempo, aumenta la sua sensibilità alle aberrazioni prodotte dall’atmosfera sempre presenti anche in condizione climatiche perfette. Senza un sistema ottico adeguato, un telescopio gigantesco avrebbe un potere risolutivo simile a quello di uno di poche decine di centimetri di diametro. Per correggere, quindi, la turbolenza, si analizza, tramite una sorgente luminosa artificiale creata da uno o più laser (vedi Figura 11), la qualità dell’atmosfera e, inviando le informazioni ai sostegni degli specchi, questi vengono deformati (sono necessari quindi specchi relativamente sottili), anche migliaia di volte al secondo, in modo da compensare e correggere le distorsioni atmosferiche. Sono veri e propri sistemi intelligenti detti “ottiche adattive”. Il VLT, ad esempio, utilizza ottiche di questo tipo. Le immagini prodotte hanno, così, una risoluzione talmente elevata che quasi superano quelle prodotte dai telescopi spaziali che, ovviamente, non risentono degli effetti negativi dell’atmosfera.

Figura 12) Il pianeta Nettuno osservato dal VLT. Come si vede, senza l’ottica adattiva, appare come una sfera sfocata bluastra senza nessun dettaglio visibile. Anche un telescopio amatoriale di buona qualità potrebbe fornire un’immagine migliore. Con l’ottica adattiva, invece, viene prodotta un’immagine a dir poco spettacolare.

Per cocludere il discorso sulla strumentazione astronomica moderna, un altro grande progresso tecnologico riguarda l’acquisizione delle immagini. Ovviamente, non si usano più le lastre fotografiche ma avanzati rivelatori elettronici come le camere CCD. Il vantaggio di questi dispositivi sta nella grande rapidità e precisione che consentono di ottenere, con telescopi modesti, risultati considerati una volta impensabili anche con i più grandi telescopi come quello di Monte Palomar.

Anche se apparentemente sembra non si possa fare meglio di ciò che è stato realizzato fin’ora, tra telescopi che raggiungono anche i 10m di diametro e miracolose ottiche adattive, sono già in fase di sviluppo nuovi progetti che costituiranno una nuova, migliore ed estremamente più potente generazione di osservatori. Abbiamo il Giant Magellan Telescope che dovrebbe vedere la prima luce nel 2029. Sarà costituito da un sistema di sette telescopi da 8,4m di diametro, installati presso l’Osservatorio di Las Campanas, in Cile. Verrano utilizzate sosfisticate ottiche adattave e il telescopio potrà osservare nell’ottico e nell’infrarosso. Un altro progetto, il più ambizioso, è l’Extremely Large Telescope che forse potrà essere attivo dal 2027. L’osservatorio, sempre situato in Cile, ospiterà un telescopio riflettore colossale con uno specchio primario di 39m di diametro.

Siamo giunti alla fine di questa panoramica sulla strumentazione ottica. Partendo dagli antichi astrolabi, l’umanità è stata in grado, nel giro di pochi secoli, di realizzare enormi osservatori con cui ogni giorno gli astronomi osservano e “ascoltano” nuovi angoli del cosmo. La prossima e ultima parte sarà, quindi, incentrata sul raccontare le grandi scoperte e osservazioni nella banda ottica compiute dagli astronomi nel corso della storia.

BIBLIOGRAFIA:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto