ASTRONOMIA MULTIMESSAGGERA – I CANTASTORIE DEL COSMO – ATTO VI – I RAGGI X (PARTE 2)

Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta dei raggi X approfondendo, ora, come gli astronomi, dotandosi di una “vista a raggi X”, sono stati in grado di ascoltare questi cantastorie cosmici e quali sono i racconti che ci hanno narrato sull’universo.

Entriamo, quindi, subito nel vivo di questa seconda parte, iniziando a raccontare l’interessante storia che c’è dietro l’astronomia X e, soprattutto, i suoi protagonisti, le grandi menti che, da dietro le quinte, hanno dato alla luce questa nuova e rivoluzionaria branca dell’astronomia.

L’astronomia X sbocciò grazie all’ingegno di due scienziati italiani immigrati negli USA: Bruno Rossi e Riccardo Giacconi. La prima osservazione astronomica nei raggi X risale al 1948 quando un gruppo di scienziati americani riuscì a misurare l’emissione X da parte del Sole. I risultati di questa osservazione smorzarono l’elevato entusiasmo della comunità scientifica perché il Sole presentava una luminosità 100000 volte minore nei raggi X rispetto alla luminosità ottica facendo pensare ad una scarsa luminosità X per tutti gli oggetti celesti.

Figura 1) Riccardo Giacconi (a sinistra), premio Nobel per la fisica nel 2002, e Bruno Rossi (a destra).

Nonostante questi risultati piuttosto deludenti, agli inizi degli anni ’60, Giacconi e Rossi discutevano sui metodi e sulle opportunità per rilevare emissione di raggi X dalla Luna. I due ricercatori, ansiosi di testare le loro idee, proposero di porre il loro contatore Geiger, uno strumento con cui si possono misurare le radiazioni ionizzanti come quella X per l’appunto, a bordo di un missile Aerobee. Nella notte tra il 18 e il 19 giugno 1962, un contatore Geiger del gruppo di Giacconi a bordo del razzo Aerobee scopriva la prima sorgente X celeste battezzata Scorpio X-1 e una radiazione X diffusa presente in tutto il cielo, mentre non vedeva nulla dalla Luna. L’anno successivo Giacconi propose alla NASA di realizzare un satellite dedicato all’osservazione del cielo nella banda X. La NASA accettò la proposta di Giacconi e nel 1966 diede inizio alla costruzione del satellite che venne lanciato nel 1970 dal poligono di lancio San Marco in Kenia, in onore del quale fu battezzato UHURU che in lingua Swahili significa “libertà”.

Figura 2) Il satellite UHURU.

UHURU disponeva di contatori tecnologicamente più avanzati, detti proporzionali, che permisero di scoprire 339 nuove sorgenti X. Tra di esse non c’erano solo sorgenti galattiche ma anche sorgenti extragalattiche. Sotto la spinta del successo di UHURU, la NASA approvò altre due missioni dedicate all’astronomia X: HEAO-1 e HEAO-2, denominato, in seguito, “Einstein”. Il primo satellite disponeva ancora di contatori proporzionali molto più sensibili di quelli di UHURU e ciò permise di effettuare per la prima volta una misura precisa dell’emissione X delle sorgenti extragalattiche come i quasar e le galassie di Seyfert. Il secondo satellite presentava un’innovazione straordinaria: faceva uso di specchi ad incidenza radente che consentivano di focalizzare su un rivelatore i raggi X, ottenendo un’immagine della sorgente analoga a quella ottenuta con telescopi ottici. Il satellite Einstein venne lanciato nel 1978 e permise di ottenere informazioni importanti sulla distribuzione delle sorgenti X nella nostra galassia ed in quelle esterne.

Nel 1983 l’agenzia spaziale europea lanciò EXOSAT su un’orbita molto ellittica. Questo fu il primo satellite per l’astronomia X dell’ESA. I suoi pregi erano dovuti principalmente al lungo periodo orbitale che consentiva l’osservazione della stessa sorgente per alcuni giorni. Il principale merito scientifico del gruppo di EXOSAT è stato quello di aver studiato la variabilità della luminosità X delle sorgenti osservate.

Figura 3) Rappresentazione del satellite EXOSAT.

Alla fine degli anni ’80, anche il Giappone iniziò a contribuire all’avanzamento dell’astronomia X. Nel 1987, infatti, venne lanciato il satellite GINGA, raggiunto, 6 anni più tardi dal satellite ASCA. I due satelliti contribuirono per la prima volta a svelare dello spettro in emissione X da parte dei nuclei galattici attivi. Nel 1990, una fruttuosa collaborazione tra Germania e USA portò al lancio di ROSAT. Esso disponeva di un telescopio molto più grande di quello di Einstein e anche i rivelatori di piano focale erano molto più sensibili. ROSAT consentì di stilare un grande catalogo di 150000 sorgenti X. Tra le più importanti scoperte effettuate con il satellite possiamo annoverare la scoperta di forte emissione X da alcuni nuclei galattici attivi e da ammassi di galassie, avvolti in un gas rarefatto e così caldo da emettere termicamente raggi X. ROSAT ha anche permesso di studiare la morfologia di emissione X diffusa circostante le stelle di neutroni più vicine, fornendo importanti indicazioni sui processi di trasferimento dall’energia rotazionale di una stella di neutroni all’ambiente esterno. Alla fine del 1995, la NASA lancia lo X-ray Timing Explorer o RXTE, in onore di Bruno Rossi. Nel 1996, l’Agenzia Spaziale Italiana lancia il Satellite Italiano per l’Astronomia X Beppo-Sax, in onore, e in ricordo, di Giuseppe (Beppo) Occhialini, uno dei padri fondatori dell’astrofisica delle alte energie in Italia.

Figura 4) Rappresentazione del satellite Beppo-Sax.

 Fu il primo satellite dotato contemporaneamente di un telescopio X e di rivelatori nei raggi gamma. Questa dotazione gli permise di effettuare eccezionali scoperte. In particolare, Beppo-Sax osservò i Gamma Burst, ovvero lampi gamma che possono essere prodotti da diverse tipologie di oggetti (ne parleremo più approfonditamente nel prossimo articolo), prima nei raggi gamma e poco dopo anche nei raggi X, consentendo di ridurre l’errore di posizione dell’evento e di ricercare l’eventuale controparte ottica. Sax ha anche consentito di ottenere anche importanti progressi nello studio dell’emissione dai buchi neri e dai nuclei galattici attivi. Beppo-Sax ha cessato di funzionare nell’aprile 2002 ed è rientrato nell’atmosfera un anno dopo.

Attualmente, tra i telescopi per raggi X in attività, abbiamo il Rossi XTE. Poi, lanciato nel luglio 1999 dalla NASA, vi è il satellite CHANDRA, in onore al grande fisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar. CHANDRA dispone di uno specchio ad incidenza radente del diametro di un metro che fornisce un’invidiabile risoluzione, paragonabile a quella ottica, nelle immagini.

Figura 5) Rappresentazione del satellite CHANDRA.

Nel dicembre 1999, l’agenzia spaziale europea (ESA) lancia l’XMM, x-rays multi mirror satellite. Si tratta di un telescopio X con tre specchi ad incidenza radente, ciascuno del diametro di 60 cm. Le potenzialità di XMM sono legate alla elevata sensibilità dello strumento EPIC che gli consente di ottenere immagini e spettri di elevata qualità. A bordo dell’osservatorio INTEGRAL dell’Agenzia Spaziale Europea, il telescopio JEM-X. Il 25 luglio 2020 anche la Cina ha arricchito il panorama delle sonde a raggi X, con il lancio di “Lobster-Eye“. A dicembre 2021 è stato lanciato Imaging X-Ray Polarimetry Explorer o IXPE, il quale attraverso lo studio polarimetrico vuol aggiungere ulteriori informazioni su processi e geometrie di sorgenti compatte. IXPE si compone di tre telescopi a raggi X in grado di convogliare la radiazione verso rivelatori chiamati Gas Pixel Detectors o GPD, in grado di misurare simultaneamente energia, posizione, tempo di arrivo e angolo di polarizzazione dei fotoni. Le ottiche sono realizzate dal Marshall Space Flight Center di Huntsville della NASA con importante contributo INAF e INFN per strumenti e ottiche

Dopo questa panoramica sulla storia delle osservazioni nella banda X, principalmente da un punto di vista tecnologico e strumentale, vediamo ora, anche se già ce ne siamo fatti un’idea, quali sono gli oggetti astronomici principali in grado di emettere radiazione X.

Una prima classe di oggetti sono i sistemi binari con oggetti compatti. I sistemi binari nei quali è presente una nana bianca o una stella di neutroni prevedono il passaggio di materia dalla compagna “normale” alla stella compatta. Il materiale strappato può andare a colpire la superficie della nana bianca emettendo in banda X. Durante il passaggio di materia, essa penetra nella magnetosfera e fluisce lungo le linee del campo magnetico verso i poli magnetici della stella di neutroni. Cadendo verso i poli, il gas si riscalda fino a centinaia di milioni di gradi emettendo in banda X.

Figura 5) Rappresentazione artistica di un sistema binario in cui una delle due stelle “cannibalizza” l’altra, assorbendone materiale.

Poi abbiamo sicuramente, come visto prima, le galassie. Le osservazioni hanno mostrato che l’emissione nei raggi X è una caratteristica comune a tutte le galassie, sia che esse siano a spirale, ellittiche o irregolari. Le galassie a spirale osservate in raggi X mostrano la presenza di sorgenti individuali molto intense (che sono responsabili per la maggior parte dell’emissione osservata) e un’emissione diffusa coincidente col disco galattico. Una galassia a spirale come M31 (la Galassia di Andromeda) osservata in raggi X presenta una quantità di sorgenti intense nelle vicinanze del centro che è molto difficile distinguere l’una dall’altra, ed una serie di sorgenti molto intense lungo le braccia a spirale, insieme ad una cospicua emissione in coincidenza con il disco galattico. Le sorgenti presenti nelle braccia a spirale sono associate a sistemi binari X massicci simili a quelli osservati nella nostra Galassia, mentre quelle vicino al centro sono simili ai sistemi binari meno massicci. L’emissione X osservata nel disco, ma fuori dalle braccia a spirale, sembra invece dovuta a binarie X più deboli (e quindi non osservabili individualmente) ed a stelle normali, anch’esse troppo deboli per essere osservate come sorgenti separate.

Figura 6) La Galassia di Andromeda osservata nella banda X. I punti luminosi sono le sorgenti X. A destra, l’immagine della galassia nell’ottico.

Un altro esempio è M51 (galassia Vortice). Nei raggi X, anche in questa galassia si osservano chiaramente il nucleo, l’emissione diffusa del disco e alcune sorgenti individuali.

Figura 7) M51 osservata nella banda X. A destra l’immagine della galassia nell’ottico.

Le osservazioni X delle galassie ellittiche hanno invece portato alla scoperta dell’esistenza di materia interstellare calda in queste galassie, invisibile alle altre lunghezze d’onda. Gli spettri nei raggi X osservati (cioè la distribuzione della radiazione alle varie energie) indicano la presenza di un gas caldo con temperature di 10 milioni di gradi. La massa stimata per il gas presente in alcune di queste galassie va dai 100 milioni ai 100 miliardi di masse solari, si tratta quindi di una enorme quantità di massa, che può essere pari alla massa di tutte le stelle della nostra Galassia. Queste osservazioni pongono una serie di domande, per esempio perché e da cosa questo gas è riscaldato. Una delle teorie tenta di spiegare tale riscaldamento tramite le esplosioni di supernova, che riscaldano il mezzo interstellare attraverso l’enorme pressione esercitata dal gas espulso durante l’esplosione. Altri meccanismi più complicati sono stati considerati, ma in realtà nessuno di questi riesce a spiegare in modo soddisfacente tutte le osservazioni e in particolare le differenze osservate fra una galassia e l’altra.

Particolarmente interessante e misterioso è il fondo X, scoperto per la prima volta dalle osservazioni di Giacconi e Rossi, ovvero la radiazione diffusa in banda X che permea lo spazio. Due sono le sorgenti il cui contributo al fondo sembrano sicure: la prima è il vento solare, ovvero le particelle cariche soffiate dal Sole, mentre la seconda è da tempo imputata a una sorta di bolla (Local Hot Bubble) formata dal mezzo interstellare che circonda il Sistema Solare. A queste soluzioni se ne accompagnano diverse, accumulate nel corso di decenni di teorie, ma il mistero resta comunque fitto.
Le sorgenti dovrebbero comunque trovarsi nei nostri paraggi cosmici poiché se fossero sorgenti distanti a creare un rumore di background, il gas neutro della Via Lattea riuscirebbe ad assorbire la radiazione in ingresso. La ricerca si focalizza quindi nelle zone appena al di fuori del Sistema Solare, ed è proprio in virtù di questo ragionamento che si è giunti a ipotizzare la presenza di una enorme bolla di gas ionizzato a circondare il nostro sistema planetario, la Local Hot Bubble appunto. Tuttavia, soltanto meno di un quarto dell’emissione X ad alta energia proviene dal vento solare, e la Local Bubble non rappresenta una buona spiegazione per compensare questa scarsità di radiazione: la temperatura della Local Bubble non è alta abbastanza per giungere a una radiazione X così energetica. Il mistero resta attualmente in piedi.

Infine, degni di nota, sono i buchi neri i quali, in seguito alla caduta di materia verso di essi a causa della loro intensa attrazione gravitazionale, la riscaldano fino a temperature elevatissime, emettendo, quindi, radiazione X. L’analisi di queste emissioni è fondamentale per comprendere le caratteristiche del buco nero e del suo ambente circostante.

A cura di Giuseppe Lamberti

Fonti

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