La prima generazione di stelle ha svolto un ruolo importante nell’evoluzione dell’universo. Queste stelle, conosciute anche come stelle di Popolazione III, si sono formate molto presto nella storia cosmica, poco dopo il Big Bang, quando gli elementi presenti nell’universo erano principalmente idrogeno ed elio, con piccole tracce di litio ed elementi più leggeri.
Le stelle di Popolazione III si sono formate da gas primordiale praticamente privo di metalli, cioè elementi più pesanti dell’elio. A differenza delle stelle di Popolazione I e II, che si sono formate da nubi molecolari arricchite con metalli prodotti da stelle precedenti, le stelle di Popolazione III erano completamente prive di queste sostanze.
Queste stelle erano estremamente massicce e luminose rispetto alle stelle moderne. La mancanza di metalli consentiva alle nubi di collassare raggiungendo masse estremamente elevate. Tuttavia, a causa della loro elevata massa, la loro vita era molto breve. Il loro ciclo di vita era caratterizzato da una rapida sequenza di fusioni nucleari che consumavano il combustibile molto rapidamente, portando alla formazione di supernove e buchi neri primordiali.
Nonostante la loro importanza cosmica, queste stelle sono estremamente difficili da osservare direttamente. Tuttavia, le loro tracce possono essere indagate attraverso osservazioni indirette e simulazioni al computer, fornendo preziose informazioni sulla formazione delle prime strutture dell’universo e sulla chimica primordiale.
Al fine di comprendere le fasi iniziali dell’universo, sebbene le stelle di prima generazione siano ancora sfuggenti agli sguardi degli scienziati, le stelle di seconda generazione offrono preziose informazioni sulle condizioni dell’universo primordiale. Il loro studio è però un compito arduo, poiché la maggior parte di queste stelle sono ormai estremamente antiche e rare.
Su questa lunghezza d’onda gli scienziati hanno annunciato una scoperta: una stella di seconda generazione originariamente formata in una galassia distante dalla nostra.
Anirudh Chiti, primo autore dell’articolo e ricercatore post-dottorato dell’Università di Chicago, ha dichiarato in un’intervista per l’Università di Chicago: “Questa stella offre una visione senza precedenti sul processo primordiale di formazione degli elementi in galassie diverse dalla nostra”. “Abbiamo ora un’idea di come appaiono queste stelle che sono state chimicamente arricchite dalle prime stelle della Via Lattea, ma non sappiamo ancora se le firme chimiche siano uniche, o se le cose siano successe in modo simile in altre galassie”.
Pubblicato su Nature Astronomy il 20 marzo, l’articolo segna un passo avanti significativo nell’archeologia stellare, un campo che mira a ricostruire il passato cosmico osservando le stelle antiche e le loro caratteristiche chimiche.
Per questa ricerca, Chiti e il suo team hanno puntato i loro telescopi verso un obiettivo insolito: le stelle che popolano la Grande Nube di Magellano.
La Grande Nube di Magellano è una galassia satellite della Via Lattea, la nostra galassia. È una delle due principali galassie nane satelliti della Via Lattea, insieme alla Piccola Nube di Magellano. Queste due galassie prendono il nome dall’esploratore portoghese Ferdinando Magellano, che le osservò durante il suo viaggio intorno al mondo nel XVI secolo. La Grande Nube di Magellano è visibile ad occhio nudo dall’emisfero australe ed è situata a circa 163.000 anni luce dalla Terra. È una delle galassie più vicine alla nostra e contiene una vasta gamma di oggetti astronomici, tra cui ammassi stellari, nebulose e regioni di formazione stellare.
Le stelle più antiche di questa galassia offrono agli astronomi una finestra unica per comprendere le condizioni del giovane universo al di fuori della nostra galassia.
Gli scienziati hanno individuato dieci stelle particolarmente antiche all’interno della Grande Nube di Magellano, e una di esse ha attratto l’attenzione per la sua straordinaria composizione chimica. Conteneva molti meno elementi più pesanti rispetto alle altre stelle della galassia, suggerendo di essere stata formata dalle ceneri delle prime stelle di prima generazione.
Analizzando gli elementi contenuti al suo interno, gli scienziati hanno scoperto che questa stella possedeva molto meno carbonio rispetto al ferro, una stranezza intrigante che solleva importanti domande sulla formazione delle prime stelle e sull’evoluzione chimica delle galassie primordiali. Suggerendo che, forse, l’aumento del carbonio nella prima generazione, osservato nella nostra Galassia, non è un fenomeno universale, ma si hanno differenze a seconda del luogo.
Il lavoro di Chiti continua, poiché sta conducendo un programma di imaging per mappare un’ampia porzione del cielo meridionale alla ricerca di altre stelle antiche. Le sue scoperte potrebbero offrire una prospettiva senza precedenti sull’evoluzione chimica dell’universo primordiale e sulle condizioni in cui si sono formate le prime stelle.
A cura di Vito Saggese
Fonti:
https://news.uchicago.edu/story/scientists-find-one-most-ancient-stars-formed-another-galaxy
https://www.media.inaf.it/2024/03/22/stella-seconda-generazione-lmc/
https://it.eseuro.com/tecnologia/2087620.html#google_vignette